«Volare» a cinquant’anni

(Alcune riflessioni sull’arrampicata sportiva praticata ad una certa età!)

di Enea Fiorentini


E’ pur vero che il tempo passa per tutti, e che le cose fatte anni fa non si possono rifare oggi!... 
Questa filosofia spicciola non serve però a frenare la mia passione per un’attività sportiva che, prima che fisica, è spesso mentale.
Torri di Leano - Punta Giovanna: Via Dory (40 m. 5°+)(66358 bytes) L’arrampicata sportiva infatti diventa, col passare del tempo e per ovvie ragioni naturali, più un’attività mentale che fisica: anche se in questo campo è difficile indicare limiti o regole precise, e dire quale delle due attività favorisca l’altra.   Certo ci sono illustri eccezioni, ma per i comuni mortali, come me, è spesso così!
Con gli anni che avanzano inesorabilmente, la passione resta forte, ma il movimento non è più così elastico ed armonioso.   Un allenamento non più costante e un po’ di sovrappeso, fanno sì che difficoltà superate agevolmente qualche anno fa diventino problematiche, i passaggi più lenti e un po’ impacciati, i punti chiave sono spesso superati «strappando» e con maggior sforzo.   L’unica vera forza che resta consiste nell’esperienza maturata e in quel poco di tecnica acquisita.
Le Torri di Leano: Punta Giovanna a sinistra, Torre Elena a destra (44677 bytes) Le vie di 5°+, già fatte facilmente da primo, oggi diventano per me più dure e sento la necessità di avere una buona presa per le mani ed una protezione, per la progressione, degna del suo nome; non mi fido più di due dadi contrapposti, infilati in una spaccatura, oppure di un friend posizionato in una fessura, spesso svasata.
Anche se devo sollevare qualche chilo in più di allora, credo però che le maggiori difficoltà non derivino solo dal peso e da uno scarso allenamento, quanto invece da un problema di «testa».   Penso che, nel mio caso, sia subentrata un po’ di sfiducia nelle mie possibilità tecnico-fisiche, oppure che, psicologicamente, io sia ritornato alle condizioni di apprendistato, forse dovute al fatto che ho ripreso ad arrampicare con un nuovo partner, dopo alcuni anni di astinenza, da quando cioè il mio vecchio compagno ha deciso di cambiare città, lasciandomi praticamente solo dal punto di vista arrampicatorio.   E’ risaputo che non è semplice cambiare partner d’arrampicata, quando si è riusciti ad instaurare un clima di reciproca fiducia.
Ma la passione c’è ancora e quindi ho ricominciato ad arrampicare: certo non più con l’assiduità di una volta, ma con lo stesso piacere, la stessa soddisfazione di poter salire dove pochi salgono, tra terra, vuoto e cielo, in luoghi dove solo pochi rumori non naturali mi possono raggiungere e disturbare.
Monte Guadagnolo: Via Paola (35 m. 5°+)(62910 bytes) In questa bizzarra primavera, ho ripreso così a salire le antiche vie sulle falesie vicino Roma, un po’ con la scusa di trovare qualche nuova e facile parete per l’uscita annuale della sez. romana della G.M.(*), dedicata alla palestra di roccia, ma soprattutto per un vero piacere personale nel risentire le stesse sensazioni che si provano quando si esegue il giusto movimento, in un’equilibrata azione fisica, che danno il senso alla progressione nell’arrampicata.
Sono riuscito a fare qualche via che conoscevo, ma che non avevo mai salito: mi è sembrato di completare così un disegno interrotto.
Mi sono anche reso conto che molto è cambiato in pochi anni.
Sono state aperte tantissime vie, accanto a quelle vecchie, di difficoltà superiore al 6° grado: che è ormai considerata la difficoltà base (di partenza) dai nuovi giovani climbers.
Le vie di 6a, 6c, 7b, 7c fino a 8a si sprecano ormai su queste pareti e si notano numerosi gruppi di ragazzi che affrontano con grande preparazione le vie dai nomi strani ed esotici.
Intendiamoci, a me questi nomi non danno fastidio e mi divertono, ma non potendo salire su queste difficoltà, mi rimane la curiosità di sapere qual’è stata la ragione (se ce n’è una) di affibbiare alle vie nomi del tipo:
«Viaggio nell’oscurità (7a,mt.22)», «Celebrazione nera (8b,mt.22)», «Gorkl Gorkl (7c+/8a,mt.22)», ecc...
Meno ostiche da interpretare o da intuire, anche senza percorrerle, sono invece le vie chiamate:  «Jump (7b,mt.10)», «Cristalli (7c+,mt.12)», «Achtung baby no fly zone (8b+,mt.20)», «Atto di forza (8b/8b+,mt.20)», «State calmi se potete (7b+,mt.20)», ecc...
Anche se non esiste una regola nella denominazione delle vie, trovo comunque ambigua la definizione di vie col nome:
«Posizioni compromettenti (6b+,mt.20)», «La mandrillona (7a+,mt.15)», «Baciami Alfredo (6b+,mt.15)», «Erezione vulcanica (7c+/8a,mt.22)», «Sodoma (6b+,mt.12)», «Gomorra (6a,mt.12)», «Harem (6a,mt.18)», «Mondo Topless (6b,mt.20)», «Sesso debole (6b+,mt.15)», «Balle spaziali (6b,mt.22)», ecc...
Sperlonga: l’autore, all’attacco dello Spigolone di Ferrante (200 m. 4°+)(51453 bytes) Certo che la soddisfazione per l’apertura di queste vie e gli stimoli ricevuti nel percorrerle devono essere stati grandi, se sono paragonabili alla fantasia dimostrata nella loro denominazione!
Ed eccoci nuovamente in due a ripercorrere i sentieri che portano alle falesie più note: Argentario, Sasso, Ciampino, Morra, Guadagnolo, Norma, Bassiano, Torri di Leano, Circeo, Sperlonga, Gaeta.   Alcune sono vicine a Roma, altre sono più lontane ma sempre soleggiate, vicine al mare o, addirittura, a strapiombo sull’acqua.    Frequentiamo questi posti per divertimento e per allenarci, in attesa di poter affrontare le pareti del Gran Sasso, su vie più lunghe e difficili.    Oggi è ancora presto per andarci, c’è troppa neve ed è molto pericoloso.
Dopo quelle vecchie già conosciute, risalite soprattutto per provare la nostra condizione, oggi cerchiamo le vie nuove, quelle che, appena aperte, non sono state ancora descritte in guide o cataloghi.   Ci affidiamo perciò ai nomi che vediamo stampigliati ai piedi delle vie: alcune scritte indicano anche la difficoltà, altre solo il nome, ed allora cerchiamo quelli che ci fanno intuire difficoltà rassicuranti, come: «Il fanciullo», «Alberello», «Scout», «Fess ... Urra’», vie che, scrutate dal basso, possiamo valutare tra il 4° e il 5° grado.
Cominciamo a salire le più facili e possiamo così alternarci da primo: saliamo a vista, piazziamo i rinvii negli spit, raggiungiamo la catena al termine della via e poi, sistemata la corda nel moschettone fissato alla catena, ridiscendiamo velocemente in doppia, per lasciare al compagno il piacere di salire la via con la sicura dall’alto.
Siamo attorniati da giovani arrampicatori che si cimentano su placche lisce di 6c e su spigoli strapiombanti di 7b: ci sentiamo due pesci fuor d’acqua, un po’ per i molti peli bianchi della barba e un po’ per le nostre salite di 4° e 5° grado, ma ci divertiamo lo stesso.
Alle grida di quelli che affrontano i passaggi più impegnativi su vie difficili, si aggiungono i nostri «sbuffi» durante la salita delle parti più dure (per noi) delle nostre vie.
Saliamo su diverse di queste, alternandoci, e anch’io ne salgo qualcuna da primo.
Su una, di 4°+, trovo qualche problema a superare una placca verticale di 4 metri e nella mente scorre, in pochi attimi, tutto il repertorio dei movimenti adatti per questo passaggio: <gambe in spaccata>, <corpo in fuori>, <mani non troppo alte>, <non stare troppo sul passaggio>, <non cercare maniglie per le mani, tanto non ce ne sono>, e così via ...
Più su appare il passaggio chiave: due fessure-diedro alte 4/5 metri ciascuna, da superare in Dulfer.   Ed ecco il ripetersi della tiritera mentale: <spostati di fianco, spingi con i piedi sulla parete e tira con le mani infilate in fessura>, <sposta le mani due volte più su, poi porta su i piedi> e via così, mentre con gli occhi studio tutta la sequenza dei movimenti che servono per raggiungere il prossimo spit e poter riposare un po’.
Dopo tre ore di questo esercizio su diverse vie, non ce la faccio più.   Mi sento i polpacci doloranti e gli avambracci duri e senza forza.
<Tiri troppo di forza con le mani, e cerchi le maniglie> mi sgrida il compagno <devi avere più fiducia sui piedi, appoggiati di più su di loro e spingi!> sono i suoi suggerimenti, che sento raggiungermi dal basso.
Mi sembra di essere tornato al corso di roccia del CAI di tanti anni fa.
Facciamo finalmente sosta per il pranzo su un terrazzino roccioso ai piedi delle pareti, con un bel panorama sulla vallata sotto di noi.   Un panino, una mela ed una banana vengono fatti fuori velocemente, mentre lasciamo asciugare al sole le magliette e i caschi, zuppi di sudore.
Sperlonga: vista dall’alto dei settori A2, A6, A7 (66254 bytes) Oggi fa molto caldo e siamo stati costretti a toglierci le magliette e ad arrampicare a torso nudo, ma si suda lo stesso e si abbronzano prevalentemente la schiena e le braccia.
Meno male che le pareti scelte oggi non sono sul mare poichè la tentazione di tuffarci in acqua e di mandare al diavolo la roccia sarebbe stata troppo forte.
Finito il pasto, rieccoci a salire ancora qualche via.
Io sono ancora stanco, ma il mio compagno vuole provare qualche tratto di una via di 6° grado; ha scelto quella che si inerpica su uno spigolo verticale dal nome liberatorio: «Spigolo del congedo (6a,mt.18)».   Lo vedo salire con difficoltà la liscia rampetta iniziale fino sotto lo spigolo vero e proprio: <Mi raccomando la sicura> grida, <non ti preoccupare, è tutto a posto, vai pure> rispondo io, controllando il «gri-gri» fissato al moschettone della mia imbracatura.
Cercando piccoli appigli per le mani <sono solo piccoli buchi per un dito!>, lui riesce ad alzarsi un poco, fino a trovare un appoggio migliore per i piedi.   Lo spigolo si alza di altri 10 metri ed è una stancante ginnastica quella che vede impegnato il mio compagno; solo grazie all’aiuto di qualche «resting» riesce a salirne una parte; poi desiste e si lascia cadere appeso alla corda.
<Adesso prova tu, e vedrai che roba!> mi dice scendendo ai piedi della parete, <fossi matto, si e no che riesco a rifare la fessura in Dulfer> rispondo, facendo un eloquente gesto con la mano.
Visto che la nostra regola è < una a me e una a te...>, salgo da primo la via della fessura.
Le mie condizioni però non sono più le stesse e comincio ad imprecare come un carrettiere quando raggiungo le prime difficoltà.
Proseguo a fatica e raggiungo le fessure-diedro, spingo con le gambe e tiro con le braccia, salgo così tre metri ed improvvisamente mi scivola una presa delle mani.
Con un urletto tipico, volo tre metri più in basso e rimango appeso penzoloni ad uno spit.
Dondolando lungo la parete mi è venuto da ridere e, non so perchè, ma mi sono ricordato della volta che ho fatto un volo un po’ più lungo durante il corso di roccia CAI alle Torri di Leano.
Si misero tutti a ridere perchè, dopo il volo, tenevo ancora tra le mani una scaglia di roccia sulla quale mi ero appeso (così come avevano fatto tutti quelli che mi avevano preceduto, con la differenza che, nel mio caso, si era staccata).    La via si chiamava «Povero Elia» e, per quella occasione, fu ribatezzata «Povero Enea».
Sperlonga - settore A2: sulla via l’Y di Porfirio (30 m. 5°)(63281 bytes) Qui però non si tratta di scaglia bugiarda, ma di poche forze nelle braccia; però c’è sempre qualcuno che ride.
Un po’ per puntiglio, riprendo gli appigli e continuo a salire, facendo qualche variante: ho le braccia stanche e sento di non riuscire a fare le due Dulfer.   Mi invento così una salita a zig-zag sulla parete, che mi permette di superare la zona delle fessure e poi finalmente posso salire la paretina finale con maggiore facilità e raggiungere la catena per la doppia.
Mentre scendo lungo la corda e non vedo l’ora di correre ad un bar per bere una birra ghiacciata, quale giusta conclusione della giornata, altri giovani se ne stanno andando e qualcuno di questi, rivolgendosi a noi, esclama:
<arrivederci e buoni voli ancora per il futuro!>.

Cosa potevamo fare, se non ridere anche noi?

 (*) G.M. = Giovane Montagna - Associazione Alpinistica

 Enea Fiorentini
 <Riflessioni dopo un’arrampicata sulle Falesie di Norma (LT) - Settore Placche Rosse >
 (Roma, 20/5/1998)


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Aggiornamento - 10/12/2003