Il laccetto giallo

(Ovvero cosa si deve fare per portare nuova gente sugli sci di fondo !)

di Enea Fiorentini


<Siamo solo in 13, occorre disdire la prenotazione del pullman!>.
Con questa frase Francesco, il DdG per questa uscita con gli sci, annunciava la necessità di usare le auto personali a quanti lo interpellavano per la conferma della gita.
<Ci vediamo sabato mattina alle 7,15 a San Lorenzo; formiamo gli equipaggi per le auto e partiamo alle 7,30>.
Il pullman infatti sarebbe costato troppo per un numero così ridotto di escursionisti.
<Molto bene!  Meno siamo e meglio è!  Saremo più compatti e più veloci!>, era questa la scontata risposta dei più preparati fondisti del gruppo, anche perchè sapevano che la strada, dopo Cervara verso Campaegli, diventava stretta, con molti tornanti e un pullman grande avrebbe trovato molte difficoltà a curvare e avrebbe sicuramente fatto perdere del tempo prezioso.
E se poi si fosse messo a nevicare, sarebbero stati guai seri...
Meglio salire in auto!
Si stava profilando quindi una buona giornata, con un contenuto numero di «neofiti» dello sci di fondo escursionistico, che sarebbero stati guidati ed «addestrati» dai fondisti più esperti nel migliore dei modi.
La zona prescelta, sul bordo nord-ovest del Parco Regionale dei Monti Simbruini, era stata ben studiata: un bellissimo anello «fuoripista», attorno al Monte Pelato, lungo valloni solitari e in mezzo a boschi secolari di faggio.    Questa zona, che si trova al confine tra Lazio ed Abruzzo, è costituita da una vasta area pressochè disabitata, ad una quota tra i 1400 e i 1800 metri, ed è contornata da cime che superano di poco i 2000 metri.
E’ un susseguirsi continuo di valloni separati da colli più o meno elevati, di estesi altopiani e il tutto è ricoperto da una enorme foresta di faggio uniforme e compatta che raggiunge le vette di molte delle montagne che dividono e fanno da confine a tutta quest’area.
Chi l’attraversa deve fare molta attenzione a non perdersi, cosa alquanto facile, data l’omogeneità dell’orizzonte e la mancanza di punti importanti di riferimento.
L’estensione in lunghezza (direzione NW-SE) è di circa 50 Km. e in larghezza (direzione NE-SW) di circa 12.
La traversata a piedi o con gli sci richiede due buoni giorni di cammino.
Il clima è prevalentemente umido (come si intuisce dal nome Simbruini: Sub imbribus = sotto le piogge) e l’inverno favorisce un buon innevamento.
Da sempre, questa zona è considerata il paradiso dello sci-escursionismo dagli amanti del «fuoripista», che utilizzano quasi esclusivamente gli sci di fondo.
Alcune aree presentano dislivelli limitati, e consentono di effettuare il percorso anche ai principianti, con un minimo di preparazione e di conoscenza dei movimenti «fondamentali».
L’escursione proposta dal DdG, dopo un oculato sopralluogo, era proprio di difficoltà medio-bassa, per cui «aperta» a tutti.
Per i neofiti senza una dotazione personale, l’unico problema consisteva nella impossibilità di noleggiare gli sci in zona, e quindi essi dovevano procurarseli in anticipo presso amici e parenti.
Dopo una settimana di cielo terso, con temperatura bassa, ideale per il mantenimento in buone condizioni della coltre di neve, il tempo cambia tra la notte del venerdì e la mattina del sabato e, come annunciato, puntualmente arriva una nuova perturbazione da ovest che porta pioggia e temperature più miti.
Alle ore cinque e trenta di sabato tutte le strade sono bagnate e ancora scende una pioggerellina «stile inglese» che non fa presagire niente di buono.
<Qui c’è qualcuno che ci vuole male> dice Olga, <sono già tre gite che prendiamo acqua e grandine, vorrei proprio sapere chi è che porta sfortuna!>.
<Vedrai che il tempo tiene> risponde Enea <magari in quota nevica! Non ti scordare che qui a Roma siamo al livello del mare e le temperature sono diverse>, cercando di fare l’ottimista a tutti i costi pur di uscire con gli sci.
All’appuntamento a San Lorenzo ci sono quasi tutti: i sostenitori della puntualità sono già indaffarati a formare gli equipaggi sulle auto.
Alle 7 e 20 mancano tre partecipanti, alle 7 e 30 solo uno, ma è il più importante: è uno dei vicepresidenti nazionali della nostra associazione.  Ilio arriva trafelato alle 7 e 40 <scusate, non è suonata la sveglia, non so perchè> spiega <mi sono svegliato alle 7 e 10 e sono corso qui senza lavarmi!>.
<Appuntamento all’uscita del casello di Vicovaro, e poi ad Arsoli per la sosta caffè!> avvisa Francesco mettendo in moto l’auto.
Finalmente quattro auto partono, entrando quasi subito nella vicina autostrada per L’Aquila.
Un po’ per l’ora mattutina, un po’ per il cattivo tempo, non troviamo nessun problema di traffico e arriviamo molto rapidamente al casello di Vicovaro; da qui proseguiamo sulla S.S. Tiburtina.
In una sonnecchiosa e grigia mattina, raggiungiamo il paese di Arsoli arroccato sulle pendici dei primi contrafforti dei Simbruini che, da nord-ovest, si allungano verso sud-est, spiegando ed allargando gli enormi altopiani, fino a congiungersi con il gruppo dei monti Ernici.
Qui non piove e, in fretta, entriamo nel solito bar: <un cappuccino ed una brioche, a me un caffè macchiato!> sono le normali richieste del nostro gruppo in queste tradizionali soste.
<Neve non se ne vede!  Chissà se sopra piove?> sono le altrettante ovvie domande dei dubbiosi; <un po’ di pazienza, qui siamo ancora bassi!> rassicura Francesco.
Si riparte e dopo una zona in falso piano e a mezza costa, si sale.
Al bivio per Subiaco, si piega a sinistra e, tra un tornante e l’altro, si intravede Cervara.
Questo paese viene considerato da molti uno dei più belli del Lazio, sia per la singolare ubicazione in cima ad uno sperone calcareo a forma di anfiteatro naturale, sia per le case, tutte della stessa altezza, disposte a gradinate le une sopra le altre, a formare una parete scenica di grande effetto.
Superata Cervara, la strada si inerpica velocemente su ripidi tornanti, e la vegetazione cambia: da boschi di querce e castagno, si passa ad una zona di pini di rimboschimento ed infine ai grandiosi boschi di faggio, che sono i veri dominatori di quasi tutte le montagne del centro Italia e soprattutto di questa area.   In mezzo a questo scenario, arriviamo a Campaegli.
Campaegli è una frazione di Cervara ed è ricca di villini ambientati correttamente nel paesaggio, ma è rovinata dalla presenza di alcuni grossi edifici: «residences di montagna» frutto di sicura speculazione edilizia di qualche decennio fa, con appartamenti prevalentemente chiusi nei mesi invernali.
<Poca gente in giro?  Molto bene, poco chiasso!> sentenziano gli ecologisti del gruppo.
Alle 9,30 siamo al piazzale terminale e, parcheggiate le auto, iniziamo i preparativi per l’escursione.   Si notano poche chiazze di neve attorno a noi e la temperatura è vicina a zero gradi.   Siamo a circa 1450 metri di quota.
<Saliamo a piedi a quel colletto> dice Francesco al gruppetto di sciatori <e oltre si apre la Valle di Lepre; lì troveremo neve in abbondanza!>.
In dieci minuti di cammino, siamo alla sommità del piccolo valico e lo sguardo si apre su ampi valloni ricoperti dalla rigogliosa faggeta.   Siamo sul versante nord del Monte Pelato che contorneremo nella nostra escursione ad anello, e qui troviamo neve dappertutto, anche se non così abbondante: qua e là affiora qualche sasso calcareo, di colore bianco naturalmente!
<Partiamo uniti e state in gruppo!> si raccomanda Francesco, mentre i più bravi sono già pronti e cominciano a girare in tondo sul primo spiazzo, aspettando i compagni.   I principianti, invece, si cimentano ancora con scarpe, sci e attacchi, ricevuti in prestito, che non conoscono.
Il DdG ed altri «esperti» sono lì ad aiutarli per accelerare la partenza.
<Porca miseria!  Le scarpe non entrano più negli attacchi!  Si sono gonfiate?!> è la sconsolata considerazione di Aldo, alle prese con gli sci «Blizzard» avuti in prestito da Luigi.
Mentre il resto del gruppo, spazientito ed infreddolito, comincia a muoversi, gli «esperti» si prodigano a far collegare bene le scarpe di Aldo agli attacchi, ma senza successo: la barretta di ferro sotto la punta della scarpa entra in qualche modo nella sede dell’attacco, ma questo non si blocca correttamente e la chiusura non scatta; dopo pochi passi lo sci si stacca e non si può procedere.
Dopo 10 minuti di manovre, di pulizia accurata dell’attacco dalla neve, la situazione non cambia e allora, tolta una scarpa per meglio effettuare la manovra di aggancio, ecco svelata la cruda realtà: la suola delle scarpe è proprio incompatibile con gli attacchi; le relative guide in rilievo, presenti sullo sci, sono due e sono poste lungo i bordi, mentre l’incavo nella suola della scarpa è uno solo e, ovviamente, è posizionato centralmente.
<Ecco perchè non s’incastra!  La scarpa è sbagliata rispetto all’attacco dello sci!> così gli «esperti» apostrofano il malcapitato Aldo <Luigi ti ha dato un paio di scarpe che non combaciano con gli sci, oppure ti ha dato un paio di sci diversi, forse quelli dei figli!  Mannaggia a voi che non provate gli attrezzi necessari prima del loro uso...>.
Chiarita la situazione, ecco venire allo scoperto la scontata decisione del DdG: <Caro Aldo, a questo punto non c’è niente da fare: vai a riporre gli sci in auto, tieni scarpe e bastoncini e, se vuoi, ti fai il percorso a piedi seguendo le nostre orme!  Poi te la vedrai lunedì con Luigi!>.
Così Aldo, scosso da tanta autorità e scoraggiato dalla propria impreparazione di neofita, torna sui suoi passi, guadagna nuovamente il colle e raggiunge la propria auto, ripone gli sci «inservibili» e, mesto mesto, torna sul pianoro dove il DdG e i pochi amici «esperti» sono rimasti ad aspettarlo.  <Seguici e raggiungi Gianfranco, che ha deciso di venire con noi a piedi, così vi fate compagnia!> suggerisce Francesco, per rincuorare un po’ Aldo, dato che, per lui, questa doveva essere la prima escursione facile in sci, molto valida come addestramento di base per lo sci-escursionismo.  Invece, una escursione a piedi, sia pure su neve, è una banalità per Aldo, famoso podista di gran fondo, con alle spalle diverse gare di 100 Km., come quella del «Passatore», da Forlì a Firenze, attraverso l’Appennino tosco-emiliano, oppure come quella della «Torino-St.Vincent», attraverso le colline canavesane e le prime gole della Valle centrale valdostana.
Aldo desiderava provare gli sci di fondo, non solo camminare come faceva da lunga data.
Raggiunto il gruppo principale, Aldo si affianca al nostro «archeologo» Gianfranco, ed insieme seguono gli sciatori che, smesso finalmente di girare in tondo per non morire di freddo, possono riprendere il cammino lungo la bellissima Valle di Lepre, cimentandosi in una prima lunga discesa.   Il percorso segue inizialmente una carrareccia, divenuta una provvidenziale pista di sci, anche se con un fondo duro di neve «ghiacciata», con qualche sasso affiorante e con molti faggi sui bordi, da evitare accuratamente.
Si sentono i «gridolini» di piacere dei più bravi che, lasciata la pista, si tuffano nel bosco tra gli alberi divertendosi ad evitare rami bassi e spezzoni conficcati nella neve; a volte, per agevolare una curva, sfruttano qualche alberello come rilancio e, con perfetto stile « alla Tarzan », riescono a invertire la diagonale tra gli alberi e a proseguire nella discesa.
Il classico <Pistaaa!> è invece l’avvertimento sonoro di coloro che scendono lungo la carrareccia «ghiacciata» e che hanno difficoltà a rallentare con lo «spazzaneve» o con la «raspa» e che vedono avvicinarsi troppo rapidamente gli amici in difficoltà più in basso o semplicemente qualche grosso faggio piantato proprio lì, dove non ci voleva...
Durante questa prima discesa, molte persone si erano tolte gli sci, alcune volutamente per non cadere troppo spesso correndo il rischio di farsi male; ma uno in particolare, Paolo, che non avrebbe voluto togliersi gli sci, era stato costretto a farlo perchè le sue scarpe si staccavano facilmente dagli attacchi, ad ogni minima sollecitazione.
Sul primo altopiano, nella zona del Vorracchio, ci raduniamo un attimo e verifichiamo la situazione.  <Da qui in poi ci sono ancora salite e discese, alcune anche ripide, e non ci sono più sterrate da usare come pista> avverte Francesco <ci muoveremo in pieno bosco fino al pianoro grande di Campaegli, quasi alla fine dell’anello> e, guardando verso il gruppetto degli appiedati, continua <ditemi chi se la sente di proseguire con gli sci e chi invece ha qualche difficoltà e preferisce farsela a piedi!>.
Alcuni avvertono che continueranno con gli sci, togliendoseli dove il pendio, in discesa o in salita, diventerà troppo difficile.
Beppe, che si è appena operato al ginocchio, dice che la neve è troppo dura e che preferisce proseguire a piedi, per non rischiare nuovamente un incidente alle articolazioni; si aggiungerà al gruppetto dei «podisti».
Paolo invece sostiene che c’è qualcosa che non va ai suoi sci e che gli attacchi non tengono bene.
Viene deciso allora un nuovo simposio sugli sci «Blizzard» di Paolo e gli esperti, già scottati dalla precedente esperienza, verificano prima l’attacco «lento» poi gli fanno togliere una scarpa ed ecco scoperto l’arcano: la guida in rilievo dell’attacco di questo sci è una sola ed è centrale, mentre la suola della scarpa di Paolo ha due incavi, posizionati lungo i bordi.
Il DdG e gli «esperti» rimangono a bocca aperta per un attimo e poi, guardandosi negli occhi e scrutando quelli di Paolo e di Aldo, emettono una uniforme valanga di domande: <Paolo, Aldo, voi eravate in auto assieme ed avevate messo gli sci all’interno della vettura.  Vero?>.
<Si> è la risposta dei due <eravamo solo noi, per cui abbiamo appoggiato gli sci e i bastoncini tra i sedili... per comodità! ma erano ben legati con i loro laccetti!>.
<Aldo, Luigi ti ha imprestato i suoi «Blizzard»!  e tu Paolo hai portato i tuoi «Blizzard»?  Questi sci sono dello stesso modello e per caso anche alti uguali?!> è la successiva serie di domande degli investigatori.  <Certo, sono sci Blizzard azzurri dello stesso modello, e su per giù sono della stessa altezza> ribadisce Paolo <ma i miei, li riconosco facilmente perchè li tengo legati con dei laccetti gialli... inconfondibili...; quando siamo arrivati a Campaegli li ho presi e sono partito!>.
<Aspetta...> interviene Aldo <anche i miei erano legati con dei laccetti gialli, me lo ricordo bene perchè li ho riutilizzati poco fa, quando ho riportato gli sci in auto>.
Enea interviene per effettuare la prova finale  <Aldo, prova un po’ gli sci che ha Paolo e vediamo come funzionano gli attacchi?!>.   Come era ormai palese a tutti, gli sci di Paolo calzavano perfettamente ai piedi di Aldo: la guida centrale dell’attacco penetrava con precisione nell’incavo della suola della scarpa e la chiusura dell’attacco scattava regolarmente.
Cosa era successo era ormai evidente: sci uguali dello stesso modello, colore ed altezza, legati da laccetti gialli, erano stati inavvertitamente scambiati tra i due amici, che si erano fidati del colore del laccetto e non dell’unico particolare diverso: il modello degli attacchi dei due sci, entrambi di colore grigio, ma di forma e con chiusura completamente diverse.
Ciò che aveva fatto nascere l’inganno era che Paolo, che era riuscito ad agganciare, in qualche modo, l’attacco del paio di sci sbagliati alle proprie scarpe, era partito con il primo gruppo di sciatori, mentre il DdG e gli «esperti» stavano aiutando Aldo, che aveva problemi maggiori con gli altri sci.   Erano tutti così presi, che nessuno si era accorto che c’erano due paia di sci uguali in circolazione e che, peggio ancora, erano stati scambiati.
<Ok Aldo, Luigi non ha alcuna colpa, ti ha consegnato tutta l’attrezzatura giusta!> esclama Francesco cercando di chiudere l’episodio e di far ripartire la comitiva, <ormai è chiaro che c’è stato uno scambio, e che l'attrezzatura qui presente è quella consegnata a te da Luigi per cui, Aldo continua con gli sci e Paolo prosegue a piedi, visto che siamo troppo distanti dalle auto e non possiamo aspettare che vada a riprendere i «suoi» sci>.
E così, ancora una volta, gli escursionisti ripartono formando 2 gruppetti, formati da 3 podisti (Gianfranco, Paolo e Beppe) e da 10 sciatori.
I valloni si susseguono ai colli e la neve diventa migliore, stiamo in effetti guadagnando quota.
Sfruttando le tracce, in diagonale, dei più bravi, saliamo i pendii del colle più alto e raggiungiamo il valico.  Qui, a oltre 1500 metri di quota, siamo sullo spartiacque tra la Valle di Lepre, a nord, che abbiamo appena percorso, e la zona dei Tre Confini a est, che si raggiunge percorrendo nuovi valloni davanti a noi.
Al colle di Lepre sul versante Nord di M.Pelato (50097 bytes) Al valico, Francesco ferma il gruppo e spiega a tutti la quota, la posizione rispetto al Monte Pelato e il percorso successivo.. <ora scendiamo il colle con gli sci lungo il pendìo di destra facendo un bel traverso in mezzo agli alberi; poi eseguiamo un’altra bella diagonale verso sinistra fino a quel pianoro laggiù, da cui inizia il vallone che ci porterà all’altopiano dei Tre Confini, chi non se la sente con gli sci, può scendere a piedi, «dritto per dritto»!>.
In gruppetti separati, i temerari dello sci iniziano la discesa lungo i pendii del monte, facendo molta attenzione ad avere sempre davanti a sè uno spazio libero, tra gli alberi, in cui infilarsi, cercando di non prendere troppa velocità.   Oltre ai tre podisti, altri sciatori decidono di non rischiare «un incontro ravvicinato con l’albero» e scendono a piedi con gli sci in spalla.
Entusiasmante discesa tra i faggi su un manto nevoso soffice, perfettamente mantenuto dalla copertura del bosco che, anche senza fogliame fitto, forma comunque un «cappello» sulla neve, non facendola sciogliere, come invece avviene sui pianori più aperti.
Lungo i pochi dossi scoperti, Francesco e Caterina, che hanno l’attrezzatura giusta, provano con successo la discesa con curve «Telemark», mentre gli altri sciatori, con gli sci stretti e senza lamine, si accontentano di scendere con belle diagonali tra gli alberi.
Il «bello» finisce presto e, in breve tempo, siamo al pianoro.   Sono le ore 13 e 20 circa, siamo in ritardo rispetto alla tabella di marcia, ma ancora in tempo per effettuare una buona sosta e consumare il nostro «pranzo al sacco».
Fin qui, il cielo si è mantenuto coperto di nuvole di colore grigio topo e la temperatura è sempre bassa.   Alcuni avventurosi compiono il rito del cambio delle magliette sudate con quelle di scorta, portate nello zaino, e, a torso nudo, fanno finta di non avere freddo.   Poi però accolgono di buon grado un bicchiere di brodo caldo, offerto da Caterina.
Dopo aver mangiato panini e frutta varia, arriva il momento del bicchiere di vino e Beppe, immancabilmente, tira fuori il «suo» Chianti proveniente da Gambassi (lui è nativo di quella favolosa zona tra Firenze e Siena) e, l’offerta di un bicchiere, ci tira su il morale.
Gruppo in sosta pranzo nei pressi della zona «Tre Confini» (52638 bytes) Dopo un ultimo «cicchetto» di grappa, eccoci pronti a formare un piccolo coro: Ilio, Beppe, Enea, Gianfranco, una parte delle «voci» fondamentali oggi è presente e allora il canto risulta più intonato:

<........ fare all’amore, non è peccato
lo faccio anch’io che son prelato !
Con quelle belle, non è peccato
Con quelle brutte, è caritààà .......
>

Il vino ha dato la carica al coro e si susseguono pezzi di canzone di ogni regione.   Un applauso finale segnala che è ora di riprendere il cammino.
Si segue la valle davanti a noi e, in leggera discesa, si esce dal bosco per giungere alla zona chiamata «Tre Confini», forse a ricordo di una antica divisione comunale.   Questo pianoro rappresenta uno dei punti di riferimento fondamentali per coloro che attraversano questa zona del Parco.   Qui confluiscono infatti diversi itinerari che provengono da zone anche molto distanti tra loro: Camposecco, Campaegli, Campo Buffone, Campo dell’Osso, Campo Minio, Monte Livata, e da questo punto si può effettuare una grande varietà di escursioni.
A sinistra di questo pianoro si apre un vallone che, in discesa, si raccorda con l’altopiano di Camposecco. L’accesso a tale vallone è protetto da due alte quinte di pareti calcaree che rappresentano il «faro» di questa zona, infatti sono ben visibili in tutte le stagioni e in ogni condizione di visibilità.
Sulla destra, partono altre tracce di sentiero che, in leggera salita, percorrono altrettanti valloni.   Girando sulla destra, verso sud-est, ci dirigiamo verso uno di questi valloncelli ed alcuni riescono ad eseguire anche il passo di pattinaggio per qualche tratto.
Tralasciando sulla sinistra la deviazione per la Valle Maiura, che porta verso Campo Minio, raggiungiamo senza ulteriori difficoltà una piccola selletta. Sulla sinistra si apre un sentiero che porta all’altopiano di Campo Buffone e poi a Campo dell’Osso; noi, invece, procediamo sulla destra, ancora un po’ in salita, fino all’ultimo piccolo colle, che raggiungiamo dopo circa un’ora di marcia.   Davanti a noi si apre un vallone che costeggia il versante sud del Monte Pelato, con una stretta stradina sul fondo, e iniziamo la discesa sopra la poca neve che la ricopre.   Dopo un po’ la strada diventa più larga, meno ripida e quindi tutti gli sciatori riescono a percorrerla agevolmente.
Si sbuca finalmente sul grande pianoro di Campaegli che, essendo esteso e scoperto, non ha più neve.   Si sfruttano le ultime strisce e poi si è costretti a togliere gli sci.   I più bravi sono già fermi ad aspettarci, seduti sulle panchine dell’area pic-nic presente quasi al centro del pianoro.   Qua e là spuntano dal terreno alcuni storici cippi di confine che ancora indicano l’antica suddivisione di questo territorio tra Stato Pontificio e Regno di Napoli.
<Lo attraversiamo e poi risaliamo lungo la stradina che porta ai villini di Campaegli> dice Francesco, ma Enea, che non vuole farsela a piedi e preferisce sfruttare ancora un po’ le zone innevate, suggerisce <Francesco, io conosco bene questa zona e propongo di risalire un altro piccolo vallone, che si apre sul bordo destro alla fine del pianoro; lì è più coperto e c’è ancora neve.   Proseguendo in quella direzione, riusciamo a raggiungere le auto praticamente con gli sci>.   La proposta viene accettata e, arrivati al fondo del pianoro, tutto il gruppo piega a destra risalendo il piccolo vallone che, con direzione sud-ovest, supera l’agglomerato più importante dei villini di Campaegli.   Con un’ultima traversata a mezza costa e una piacevole discesa fatta in pattinata, finalmente raggiungiamo il piazzale delle auto.
Sono circa le ore 15 e 30 e l’escursione è finita.   Poteva essere migliore con un bel sole, ma poteva anche essere peggiore; in ogni caso non ci siamo bagnati sotto nevicate o pioggia.
Radunati sia i podisti che gli sciatori e concluse le operazioni di cambio dei vestiti e di sistemazione delle attrezzature sulle auto, ci raccogliamo un attimo per la recita della consueta poesia, composta di poche strofe preparate «al volo» da uno dei «letterati» del gruppo, in onore del DdG che ha organizzato e condotto con successo l’escursione.   Poi ci si avvia verso l’unico bar aperto della zona, mentre comincia a scendere qualche fiocco di neve.
Il gruppo si blocca all’improvviso sentendo la voce di Paolo esclamare ad alto volume <mannaggia ai laccetti gialli, gli sci lasciati in auto sono proprio i miei> e, guardando nella sua direzione, tutti lo vediamo accennare qualche passo con i suoi «veri» Blizzard calzati sull’asfalto del piazzale.
Una risata generale e un bicchiere di vin «brulé» al bar, chiudono la giornata sportiva.
Anche il tempo, fuori, sembra finalmente aver preso una decisione: comincia a nevicare fitto fitto...

 Enea Fiorentini
 <Reportage - quasi fedele - di una escursione con sci di fondo attorno al M.Pelato - Campaegli (RM) >
 (Roma, 31/1/1998)


A inizio testo A inizio testo  |  A menu racconti A menu racconti

Aggiornamento - 30/03/2004