Una escursione da ... NON ripetere ...

Il racconto di una strana e avventurosa escursione, durata 2 giorni,
con sosta notturna all’addiaccio

di Enea Fiorentini



Uno dei tanti roccioni, rappresentato qui in maniera "originale", ricchi di segnaletica,
presenti all’interno del vallone La Manda (Valle di Champorcher - Valle d’Aosta)
(Tutte le foto qui presentate sono di E.Fiorentini)


La premessa
<Torniamo a camminare nel Vallone La Manda e cerchiamo di arrivare ai laghi> questo era l’accordo tra me e Mario, dopo la valutazione di altre possibilità escursionistiche nella zona scelta.   Una parte di queste ultime erano state scartate a causa dell’eccessivo dislivello, visto il loro punto di partenza nel fondovalle.

L’idea era quella di tornare in uno di quei valloni laterali della Valle di Champorcher, così isolati e selvaggi, che si aprono verso sud-ovest, in direzione dello spartiacque con il Canavese e, in particolare, con la Valchiusella.   Per me, assente da tanti anni dalla mia regione, ogni escursione un po’ particolare rappresenta sempre una scoperta.   Conoscevo abbastanza bene la sinistra orografica della Valle di Champorcher, avendo percorso, ormai da molti anni, l’Alta Via n.2 della Valle d’Aosta e avendo camminato nel Parco Naturale del Monte Avic in lungo e in largo, anche partendo ed arrivando nella Valle di Champorcher.

Case rurali a Devine,
tipiche del vallone La Manda
con le loro croci bianche
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Case rurali a Devine, tipiche del vallone La Manda
con le loro croci bianche

Molte salite ai monti circostanti mi avevano fatto conoscere la bellezza di questa valle.   Ma il versante destro orografico della valle, tagliata in due dall’impetuoso torrente Ayasse, mi era pressoché sconosciuto.   Non ho mai frequentato, fino a date recenti, questo versante e i suoi valloni, forse perché ritenuto meno famoso oppure perché più impervio e con maggiori dislivelli da superare anche solo per raggiungere la zona interessata alla "vera" escursione.

E non mi rendevo conto a quante bellezze naturali non mi ero ancora avvicinato.   Per il faticoso avvicinamento, avevamo quindi rinunciato ad iniziare l’escursione con la salita alla frazione Crest dal fondovalle.
<Arriveremo alle due frazioni del Crest passando dal vallone di La Manda>, avevamo convenuto <percorrendo un bell’anello escursionistico>.   Avevamo a disposizione le cartine IGM in scala 1:25.000 e avevamo visto che erano indicate tracce di sentiero nei percorsi in quota che intendevamo seguire.
<Bene, è deciso!   Raggiungeremo le prime frazioni di Fournier in auto, risparmiando così almeno un’ora e mezza di salita a piedi!> fu la conclusione delle nostre decisioni preliminari sul programma escursionistico.   E poi la zona di Fournier, e soprattutto tutto il vallone di La Manda, li conoscevamo già, poiché c’eravamo stati in aprile, ma non avevamo potuto raggiungere i laghi per lo spesso manto di neve che copriva tutta la parte alta della valle.
Ora, a fine maggio, sicuramente non ci sarebbero stati problemi di sorta per effettuare questa semplice e tonificante camminata dedicata a completare la conoscenza di questi luoghi e all’ammirazione di molti laghi.   Insomma, un bel programma, di media durata e difficoltà, che si addiceva bene al nostro livello di allenamento.
Ma non conoscevamo ancora le molte sorprese che ci attendevano.


Domenica 28-5-2006:
L’avvicinamento e l’inizio dell’escursione

E’ una bella domenica mattina di fine maggio, quando la sveglia mi butta giù dal letto alle ore 5 e 30 min.   Cercando di fare meno rumore possibile, mi alzo e comincio il solito rito della vestizione per l’escursione.   Ovviamente zaino e materiali accessori sono già pronti dalla sera prima ben allineati nell’ingresso di casa.   Mentre mi scaldo un po’ di thè, mi avvolgo le dita dei piedi con i cerotti antiallergici che uso da anni per evitare la formazione di dolorose vesciche.

Dalla mia lunga esperienza ormai so bene che, senza di loro, non riuscirei a fare molta strada, specie sui percorsi dirupati, e allora ho sempre con me una grande scorta di questi cerotti speciali.   Finisco di fare colazione e di vestirmi, poi controllo il vestiario di scorta: un paio di canottiere e una maglietta di ricambio, il pile, un berretto "passamontagna", una giacca a vento, un paio di calzettoni di ricambio, proprio per prudenza nel caso dovesse fare freddo o piovere.   In caso di pioggia la mia dotazione prevede, oltre la giacca a vento, un piccolo ombrello e la copertura impermeabile per lo zaino.

Il Forte di Bard, visto
dal ponte di Hône
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Il Forte di Bard, visto dal ponte di Hône

I bastoncini telescopici, gli occhiali da sole, il coltello, una luce frontale, la macchina fotografica digitale e un piccolo bicchiere formano i componenti dei miei accessori.   Una borraccia d’acqua da mezzo litro, una mela e due arance rappresentano la mia consueta provvista di cibo per una gita di questo tipo, effettuata in giornata in zone dove, tra l’altro, non mancano fontanelle e sorgenti di acqua fresca.
Alle ore 6 e 50 min. circa, vestito di tutto punto, con zaino in spalla e con la borsa contenente gli scarponi da escursione, lascio la mia abitazione e scendo in strada.   Mario è già pronto e sta caricando la sua Panda: questa volta useremo la sua auto.   Carico anch’io il mio materiale e, alle ore 7 in punto, partiamo.   Il cielo è limpido e si preannuncia una splendida giornata calda.

Lasciamo Aosta dirigendoci verso la parte bassa della valle centrale, percorriamo tutta la statale n. 26 fino a Hône, poi giriamo a destra e superiamo la Dora Baltea sul ponte nuovo con il Forte di Bard proprio di fronte.   Attraversiamo tutto il paese e incominciamo a salire, superando numerosi tornanti e penetrando nella Valle di Champorcher.   Dopo aver oltrepassato il bivio per Pontboset di circa 1 km, abbandoniamo la strada regionale e prendiamo, a sinistra, una carrozzabile che, attraversato l’Ayasse su un piccolo ponte, comincia ad inerpicarsi ripidamente lungo il fianco di un vallone secondario.

La segnaletica a Devine
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La segnaletica a Devine una delle frazioni di Fournier

Superiamo numerosi tornanti e piccoli agglomerati di case, e fermiamo l’auto su un piazzale al termine della strada asfaltata, poco sotto le prime case della località di Fournier, quelle della frazione Devine.   Siamo a circa 1150 m di quota.   Indossiamo gli scarponi e i pantaloni corti, decidiamo di portare con noi i pantaloni lunghi ma, vista la giornata bella e calda, lasciamo in auto un po’ di bagaglio extra.   Io decido di fare a meno del pile, dell’ombrello e di una maglietta, e anche Mario abbandona un po’ di materiale superfluo.   Nascondiamo in un prato vicino, all’ombra sotto un albero, una lattina di birra.   Ci farà comodo alla fine dell’escursione.   Tiriamo fuori i bastoncini telescopici, li regoliamo e, sistemato lo zaino sulle spalle, iniziamo l’escursione.
Sono le ore 8 in punto.


I villaggi di Fournier e il Vallone La Manda
Attraversiamo Devine su piccole stradine, con una larghezza appena sufficiente per il passaggio di una persona senza carichi pesanti sulla schiena, e raggiungiamo in breve altri villaggi, con un percorso quasi pianeggiante.

Questo vallone attraversato dal torrente La Manda, che gli dà il nome, è caratterizzato da alcuni elementi peculiari.   L’evidente opera dell’uomo per trasformare il territorio e per renderlo più ospitale è segnalata dagli innumerevoli terrazzamenti, privi di alberi, che si sono spinti fino alle più alte quote e che hanno sfruttato tutti gli spazi utili: anche le fontane dei villaggi, riparate da volte ad arco, hanno la parte sovrastante ricoperta da terra e ciò ricorda quanto ardua fu la lotta per ricavare un po’ di terra coltivabile vicino alle case e quanto critico fosse il rapporto tra le zone coltivate e gli spazi da riservare alle abitazioni.   Questo è il versante più soleggiato della valle e quindi quello più antropizzato.   Oggi, quasi tutti i terrazzamenti sono abbandonati e ridotti a pascolo, ma ancora segnano il versante a testimonianza del lavoro e della vita della popolazione di queste valli.   L’altro elemento tipico è rappresentato dal notevole numero dei villaggi, con case risalenti alla metà del 1800, che si susseguono nel vallone.
Alcuni edifici presentano differenze strutturali notevoli e denunciano l’appartenenza a famiglie con condizioni

I ripiani coltivati nel
vallone La Manda,
accedibili tramite
gradini in pietra infissi
tra i muretti a secco
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I ripiani coltivati nel vallone La Manda, accedibili
tramite gradini in pietra infissi tra i muretti a secco

sociali diverse: grandi rascards in legno e pietra si affiancano ad altre piccole abitazioni in sola muratura.   Molte case presentano delle croci bianche dipinte sulle porte, mentre altre hanno grandi croci bianche dipinte direttamente sui muri e che sono ben visibili a distanza.

Il barometro a corda nella
frazione di Barmafumo
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Il "barometro a corda" della frazione Barmafumo

Tutte hanno visto una coabitazione di numerose famiglie che si sono avvicendate, una generazione dopo l’altra, in questi spazi ristretti; gente costretta in un duro lavoro per una produzione basata sull’autosufficienza e sull’autoconsumo.  In questa lunga valle non mancavano le strutture di vita comunitaria: il forno del 1899, la cappella del 1876, posta sul colmo di un piccolo promontorio (ampliata e sistemata più volte) e la scuola del 1888 con ingressi separati per ragazzi e ragazze.  Con calma, percorriamo i villaggi di Fournier: Devine, Borettes, Boillas, Cotetta, Barmafumo e Verney, notando le similitudini e le differenze nelle varie costruzioni.  A Barmafumo ci fermiamo un attimo per farci due risate davanti al recente cartello "barometro a corda" che riporta in maniera comica le modalità di riconoscere il tempo meteo sulla base di una corda appesa ad un gancio.  La foto a corredo, qui a lato, illustra bene questo barometro "speciale".  Oltre i villaggi di Fournier, il sentiero si dirige verso le malghe di Boset e, pian piano, prende quota.

Oggi, dopo Devine, non troviamo persone o bestie in giro, forse è ancora un po’ presto per salire agli alpeggi dell’alta valle.   Solo attorno a Boset, vediamo piccoli gruppi di capre allo stato semi-brado.   Proseguendo lungo il sentiero ancora un po’ più avanti nella valle e un po’ più in alto, ci accorgiamo che un camoscio ci sta scrutando dallo spartiacque alla nostra destra.   E’ solo un attimo, scatto una foto più che improbabile, e l’animale scompare dalla nostra vista.   La salita prosegue, senza ulteriori incontri, sino alla testata del vallone, fino alla quota di circa 1550 m.


Un rascard ancora
in buone condizioni
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Un rascard ancora in buone condizioni
Particolare del
-fungo- del rascard
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Particolare del "fungo" del rascard
Un vecchio forno
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Un vecchio forno
     
Scuole e Chiesa della
fine del 1800, a Boillas
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Scuole e Chiesa, della fine del 1800,
a Boillas
Particolare della porta di
ingresso della scuola
di Boillas del 1888
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Particolare della porta di ingresso
della scuola di Boillas del 1888
Il nome della località di Boillas,
dipinto sui gradini della scuola
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Il nome della località di Boillas,
dipinto sui gradini della scuola
     
In cammino verso le altre
frazioni del vallone di La Manda
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In cammino verso le altre frazioni
del vallone di La Manda
Spesso si cammina
su sentieri a gradinate
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Spesso si cammina
su sentieri a gradinate
Si incontrano e si
superano baite dirute
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Si incontrano e si superano
baite dirute
     
Un camoscio ci osserva
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Un camoscio ci osserva dalle alture dello spartiacque ovest del vallone La Manda:
sarà uno dei pochi incontri con animali in questa escursione

Il giro dei laghi
Più in alto, scorgiamo le baite degli alpeggi di Creuset e di La Manda ma non seguiamo i sentieri più alti che le raggiungono; attraversiamo invece il torrente e seguiamo a ritroso il sentiero dell’altro versante che sale lentamente tra abeti e larici in mezzo ad una bassa vegetazione formata inizialmente da felci e ontani.   Raggiungiamo una grossa baita isolata (forse l’alpe Bataille ?) e proseguiamo sul sentiero che incomincia a diventare più ripido.

Con un percorso semicircolare che aggira le pendici del Bec Chaty (1903 m), entriamo nel piccolo vallone che si apre tra lo stesso Bec Chaty e il Grand Bec (2065 m).   Lo risaliamo interamente, superiamo un piccolo dosso erboso ed entriamo finalmente nella conca che contiene ciò che resta del Lago Secco a 1725 m.   Questo laghetto, ormai ridotto ad un piccolo specchio d’acqua (con forma a fagiolo), è contornato da una ricca vegetazione e da abeti.   Più in alto, su un piccolo ripiano oltre una pietraia, si notano le due baite dell’alpeggio Betasson (1833 m).

Il guado sul torrente
La Manda
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Il guado sul torrente La Manda, sul sentiero per il lago Nero

Dal lago dovrebbe partire un sentiero che le raggiunge (o almeno una traccia) ma, dal bordo della conca lacustre dove ci troviamo, non scorgiamo nulla.   Proseguiamo verso sud, sul bordo destro del lago, passiamo davanti ad una baita isolata senza nome e ricominciamo a salire.   Ora il sentiero piega leggermente a sinistra e punta verso un risalto boscoso successivo.   Nel sottobosco non ci sono più felci ma il terreno è ricoperto da rododendri mescolati a ginepri, entrambi non ancora fioriti.   Con un ultimo strappo, raggiungiamo l’ampia conca che sostiene il Lago Nero a 1940 m.   Il colore dell’acqua è proprio nero e ciò è forse dovuto alla notevole profondità del lago e alla colorazione scura delle rocce del fondo.   La parte nord del lago, rivolta verso il vallone da cui siamo saliti, è sbarrata da un bacino artificiale, così come una parte del lato ovest.   Una bassa feritoia permette all’acqua del lago di defluire verso valle e di alimentare l’emissario, consentendo anche un certo ricambio.

Il piccolo
lago Secco
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Il pianoro col lago Secco (1725 m)
Il Bec Chaty (1903 m)
che viene aggirato
e superato in altezza
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Il Bec Chaty (1903 m)
Il lago Nero
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Il lago Nero (1940 m)

Sopra il lago, verso sud, si innalzano le bancate rocciose del Monte della Corda (2364 m) e del Mont Blanchet (2561 m) che racchiudono questo bacino.   Verso est e verso ovest tutte le elevazioni sono coperte da abeti e larici che si innalzano sopra una spessa coltre di rododendri.   Oltre il bordo del lago, non vediamo tracce recenti di passaggio.   Il sentiero, comodo e ben segnalato dalle frecce di color giallo (segnale standard per i sentieri della Valle d’Aosta), termina al lago con la bella e evidente scritta di colore nero, pitturata sul cemento dello sbarramento: "Lago Nero".

Ma noi siamo venuti fin qui per vedere il maggior numero di laghi di questa zona e non possiamo fermarci.   Contorniamo il bacino lacustre verso ovest (sulla destra) utilizzando anche le sponde in cemento del lago e ci addentriamo nel folto dei rododendri seguendo una labile traccia di camosci che penetra nella fitta vegetazione verso l’alto.   Risaliamo il ripido ma breve costone e raggiungiamo la cresta spartiacque ad una quota di circa 2100 m.   Sotto di noi vediamo l’ampio bacino sabbioso che racchiude il Lago Champas (1945 m).   Davanti a noi, si allarga la visuale su tutta la parte alta della

Il lago Nero, durante la salita
verso lo spartiacque ovest
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Il lago Nero, durante la salita verso lo spartiacque ovest

testata del vallone di La Manda e possiamo distinguere gli alpeggi alti di La Manda, Detra e Chanton, sovrastati dalle cime che vanno dalla Punta Fricolla (2676 m), alla Punta Chenessy (2630 m) e al Mont Giavin (2431 m).   Non scorgiamo però i Laghi Chenessy (2383 m) e Cornuto (2421 m) perché incassati in conche rocciose situate più in alto rispetto a noi e non visibili.   Verso destra, da est a nord-est, si distendono tutte le cime innevate del Monte Rosa, uno spettacolo grandioso.   Sempre verso est ma appena sopra il Lago Nero, si susseguono i contrafforti rocciosi e i piccoli corsi d’acqua che si riversano nel lago.   Le creste sono incise da intagli e da selle valicabili.   Più a sinistra scorgiamo i due piccoli intagli del Colle Fiotte (2000 m) sulla cresta rocciosa, formata da rocce spesso instabili.
E’ la nostra meta programmata.
Scatto qualche foto e poi ridiscendiamo alle sponde del Lago Nero.   Attraversiamo l’intero sbarramento frontale del lago, da ovest verso est e ci dirigiamo verso una traccia di sentiero che ci sembra la migliore per raggiungere il valico.
<Arriviamo al valico e poi ci fermeremo a mangiare qualcosa> dico a Mario, desideroso di vedere cosa ci attende al di là.   Il sentierino ci porta in quota sul versante opposto del lago e poi sparisce in un mare di rododendri e ontani.   La visuale però è libera e vediamo bene la nostra meta, così come notiamo in basso le due baite Betasson sopra il lago Secco.

Salendo verso lo
spartiacque ovest
sopra il lago Nero
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Salendo verso lo spartiacque
ovest sopra il lago Nero
La testata del vallone
che racchiude il lago Nero
con la Punta Fricolla
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La testata del vallone che racchiude
il lago Nero con la Punta Fricolla
Il lago Champas
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Il lago Champas (1945 m), visto
dalla cresta dello spartiacque ovest
     
Lasciando il bacino
del lago Nero e salendo il
versante est in direzione
del Colle Fiotte
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Lasciando il lago Nero e salendo il
lato est in direzione del Colle Fiotte
Sulla pietraia in
direzione del Colle Fiotte
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Sulla pietraia
in direzione del Colle Fiotte
Arrivo al
Colle Fiotte
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Arrivo al Colle Fiotte, sulla cengia
boscosa obliqua oltre la pietraia

Cominciamo a seguire tracce a mezza costa verso destra (est), cercando di non perdere quota e spesso siamo costretti a farci largo tra un folto ammasso di vegetazione, dove il rododendro è sempre l’arbusto dominante.   Indossiamo sempre i pantaloncini e le nostre gambe cominciano a subire graffi dagli spuntoni di roccia e da arbusti vari.   Finalmente raggiungiamo un pianoro, appena libero dalla neve, sopra le due baite.   Cerchiamo il sentiero che dovrebbe provenire dagli edifici con direzione del valico ma non troviamo nulla.   Decidiamo di procedere lo stesso tra i rododendri facendo un grande giro circolare verso destra per raggiungere un’ampia pietraia e, sfruttando i sassi, per arrivare al colle più agevolmente.   Dopo qualche graffio aggiuntivo nell’attraversamento della bassa vegetazione, raggiungiamo la pietraia e su questa approdiamo ad una specie di cengia ricoperta di rododendri e ontani.   La seguiamo verso sinistra, districandoci tra bassi e alti rami e finalmente raggiungiamo il piccolo intaglio roccioso del Colle Fiotte.   Cerchiamo di guardare sull’altro lato del colle, verso il vallone di Fiotte e rimaniamo a bocca aperta.   Non riusciamo a capire dov’è la traccia di sentiero che ci dovrebbe guidare verso il basso e farci raggiungere l’unica baita, ormai diroccata, dell’alpe Fiotte (1881 m), che intravediamo a circa 200 metri più in basso, sulla verticale della nostra posizione.   Ci sentiamo impegnati a trovare un passaggio.   Non avvertiamo più i morsi della fame o, perlomeno, essa può aspettare...
E qui comincia la nostra vera avventura.

Panorama sul gruppo
del Monte Rosa dal Colle Fiotte
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Panorama sul gruppo del Monte Rosa dal Colle Fiotte

Nel vallone di Fiotte
Continuiamo a cercare le tracce di sentiero indicate sulla cartina IGM ma non vediamo nulla.   Dall’altezza della vegetazione arbustiva e dalla sua compattezza, ci appare evidente che questa zona è rimasta isolata per anni e che ha visto transitare recentemente ben poche persone.   Sappiamo che il sentiero (o la traccia) dovrebbe esistere per permettere di raggiungere la baita Fiotte e supponiamo (o meglio speriamo) di incontrare lì e a valle della stessa baita, una traccia migliore per scendere.   Intanto, al Colle Fiotte siamo bloccati.

Il lato di discesa, sul versante est, è troppo ripido, colmo di sassi instabili e di vegetazione; sul bordo nord del colle continua la cresta rocciosa, poco affidabile, che termina molto più a nord al Grand Bec.   Tornare indietro è possibile ma non è altrettanto agevole e poi noi vogliamo compiere il famoso percorso ad anello: scendere lungo il vallone Fiotte, raggiungere l’alpe Echarvaz (circa 1464 m) e confluire nella valle di Brenve per raggiungere finalmente il Crest.   Il vallone di Fiotte è ormai raggiunto ed è divenuto un puntiglio per noi trovare la possibilità di percorrerlo in discesa.   Sul versante sud del colle, la cresta risale ripida.

In discesa nel vallone
di Fiotte, sfruttando i varchi
creati dai piccoli nevai
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In discesa nel vallone di Fiotte,
sfruttando i varchi creati dai piccoli nevai

Essa è boscosa e piena di vegetazione tipica della zona: rododendri, ginepri e ontani che formano il substrato da cui emergono larici ed abeti.   E’ tutto un caleidoscopio di colori verdi e gialli.   Il calore della primavera inoltrata ha fatto esplodere tutta la copertura vegetale che ha ormai nascosto le erbe secche appena lasciate libere dalla neve.
Notiamo labili tracce tra questa vegetazione e supponiamo che siano quelle lasciate dai camosci.   Spesso useremo queste tracce per superare zone boscose o pareti rocciose verticali.
Non c’è altro da fare; se vogliamo entrare nel vallone di Fiotte dobbiamo salire per cresta, a destra (sud), fino a trovare un varco agibile tra la vegetazione e sul terreno che ci permetta di scendere con un minimo di sicurezza.
Questa tecnica di salire per scendere la ripeteremo molte volte nelle ore che seguiranno, e ciò farà drammaticamente aumentare il dislivello, in metri, della nostra escursione, la sua durata e la nostra stanchezza.
Cominciamo a salire, quindi, aiutandoci con le mani in presa sui rametti dei rododendri, molto flessuosi e robusti, che preferiamo a quelli dei ginepri perché meno pungenti e "graffianti".   Sfruttiamo anche i rami degli ontani, nelle zone popolate da questa essenza.   Ci avvaliamo dei rami giovani e bassi dei larici e degli abeti che incontriamo lungo il percorso; anch’essi sono robusti, elastici e morbidi e non ci procurano ulteriori graffi a braccia e a gambe.   Ciononostante mani, braccia e gambe cominciano ad essere segnati dai graffi, ma siamo impegnati nel trovare un varco percorribile e non ci badiamo troppo.

Salendo per cresta verso la
testata del vallone di Fiotte
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Salendo per cresta verso
la testata del vallone di Fiotte
Inizio della discesa
nel vallone di Fiotte
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Inizio della discesa
nel vallone di Fiotte
Scendendo nel
vallone di Fiotte
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Scendendo nel
vallone di Fiotte
     
Arrivando alla baita Fiotte
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Arrivando alla baita Fiotte (1881 m)
dal Colle Fiotte
Le pareti diroccate
della zona sud-est
della baita Fiotte
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Le pareti diroccate della zona sud-est
della baita Fiotte
La grande croce bianca
sulla parete nord della
baita di Fiotte
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La grande croce bianca sulla
parete nord della baita di Fiotte

Raggiungiamo un piccolo dosso ad una cinquantina di metri di altezza sopra il colle.   Questa zona si trova spostata verso destra, più nel centro del vallone verso la sua testata e riusciamo a intravedere una possibilità di discesa.   Vediamo piccoli tratti di nevaio che resistono tra la vegetazione fitta nella parte centrale del vallone e allora puntiamo verso queste zone che rappresentano piccoli spazi liberi e agevoli per la nostra discesa.
Iniziamo a scendere, un po’ alla "Tarzan", attaccandoci ai rami tra la fitta vegetazione e un po’ con sciata libera sugli scarponi nei tratti di nevaio.
Il versante si mantiene ripido.
Finalmente ci caliamo fino a raggiungere la quota della baita di Fiotte e, con una piccola traversata verso sinistra, la raggiungiamo su un piccolo poggio.   La troviamo piuttosto diroccata, in particolare il tetto è semidistrutto e anche le pareti sud-est dell’edificio sono parzialmente crollate.   Sul muro della parete nord, ancora intatto, compare la grande croce bianca dipinta, tipica delle baite di questi valloni.   Scatto qualche foto a tutta questa zona che, nonostante il senso di abbandono e di desolazione che emana, è comunque suggestiva e selvaggia.
Il volo silenzioso ed imponente di un’aquila su di noi, che riesco a fotografare a malapena, ci avverte che è meglio proseguire la nostra marcia.   Giriamo attorno alla baita più volte scrutando il terreno nelle sue vicinanze alla ricerca di una traccia di sentiero, ma non troviamo nulla che ne abbia la parvenza: tutto è omogeneo, ovunque vediamo una distesa di sassi, semicoperti da una uguale fitta vegetazione.   Verso il centro del vallone, molto più in basso, intravediamo piccole aperture tra gli alberi, forse varchi prodotti dal passaggio dei camosci.   Decidiamo di proseguire, poiché nel profondo del vallone ci sembra di scorgere un percorso più libero.   Nella discesa, a fatica ci facciamo largo tra i rami degli arbusti e questa ginnastica dura alcune ore, intanto il vallone si fa più angusto e le pareti laterali diventano rocciose, alte, verticali e più ravvicinate.   Le pareti boscose e aperte della parte alta del vallone sono ormai alle nostre spalle e non troviamo altra via libera da percorrere se non quella che si apre davanti a noi, nel suo centro.   A volte ci sembra di scorgere nel bosco, in alto sulla sinistra, alcuni ruderi di muri di case, forse appartenenti alla località di Echarvaz, ma non ne siamo sicuri e comunque risultano ormai irraggiungibili.
A poco a poco, anche il fondo del vallone si fa roccioso e un filo d’acqua comincia a penetrare tra i sassi.
Man mano che scendiamo, ci rendiamo conto che stiamo entrando in una trappola micidiale: o riusciamo a raggiungere lo sbocco del vallone e la sua confluenza nel vallone di Brenve oppure rimarremo di nuovo bloccati.
Non era previsto di dover arrampicare e quindi, purtroppo, non abbiamo con noi l’attrezzatura da arrampicata: imbracatura, corda e accessori per effettuare calate in corda doppia.   Dobbiamo così arrangiarci, avvalendoci delle nostre mani e della nostra esperienza.
Le ore passano e noi continuiamo a scendere, un po’ divertendoci a saltare tra un roccione ed un altro e un po’ preoccupandoci di non vedere la fine di questa ginnastica, anche perché la parte bassa del vallone non è sempre visibile a causa di risalti di roccia che ci negano la vista dei passaggi più a valle.   E’ ormai pomeriggio inoltrato, non ci siamo ancora fermati per mangiare e non abbiamo ancora trovato il tempo necessario: prima di tutto dobbiamo uscire da qui.
La nostra discesa diventa sempre più lenta e difficoltosa e i risalti di roccia più alti.   Tra un salto ed un altro, la punta di un mio bastoncino telescopico si infila in una stretta fessura delle rocce e l’ultimo elemento estendibile si rompe; fortunatamente il bastoncino è ancora abbastanza utilizzabile.
Anche la quantità d’acqua che rigava la parte superiore del vallone è divenuta ormai un piccolo ruscello che bagna largamente molte rocce rendendole viscide e pericolose.   Dopo una ulteriore discesa di qualche centinaio di metri, ci blocchiamo: non possiamo più scendere.   Risalti di roccia alti 4 - 5 metri, resi scivolosi dall’acqua, diventano per noi muri invalicabili.   Senza corde, moschettoni e qualche chiodo non possiamo discenderle senza metterci in serio pericolo di cadute e di fratture.
Ci guardiamo attorno, vediamo le alti pareti rocciose del vallone alzarsi ormai verticali ai nostri lati e notiamo che ancora siamo alti rispetto alla confluenza.   Non sappiamo cosa fare, guardiamo la carta IGM e cerchiamo di trovare una via di fuga.   Scrutiamo i bordi superiori del vallone e notiamo che gli alberi del bosco sovrastante sono abbastanza numerosi e formano una linea continua sulle creste che degradano verso la fine della valle.   Soprattutto il lato destro del vallone ci sembra offrire una maggiore possibilità di uscita da questa "impasse".   Scrutiamo meglio le pareti e i bordi alberati superiori e notiamo che possiamo uscire dal vallone seguendo una traccia, tra rocce e vegetazione bassa, sul bordo verticale della sua parete destra.
Teniamo un piccolo conciliabolo e la decisione è presa: tenteremo di uscire dal vallone verso destra, arrampicandoci sulla parete di questo lato, che ci sembra più facile, e seguiremo il filo degli alberi sulla cresta del vallone che ci porterà sicuramente alla sua uscita e alla sua confluenza con quello di Brenve.

L’aquila avvistata nel
vallone di Fiotte
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L’aquila avvistata nel vallone di Fiotte

Nei boschi e tra le pareti rocciose tra Fiotte e Brenve
Risaliamo, per qualche decina di metri, l’ultima parte del vallone che abbiamo appena disceso fino a raggiungere una piccola cengia obliqua, formata da roccette bagnate e vegetazione, che si apre sulla parete destra.   Ci avventuriamo tra queste asperità senza alcuna nozione di cosa ci sarebbe capitato più in là, ma con la speranza di riuscire a seguire il percorso intravisto dal basso.   La salita non è eccessivamente difficoltosa ma è delicata essendo verticale sul vallone ed effettuata tra rocce bagnate e vegetazione umida ed insidiosa.   Seppur a fatica, riusciamo a raggiungere il colmo della parte destra del vallone.   Siamo nel bosco abbastanza fitto di conifere e il suolo è coperto da alti ciuffi d’erba e, soprattutto, da rododendri.

Cominciamo a scendere il bordo della cresta che diventa subito molto ripida, attaccandoci ai rami degli alberi e a qualsiasi altro sostegno.   Il famoso filo di cresta non è ben individuabile e dobbiamo superare, anche in questo bosco, alcuni salti rocciosi coperti da fitta vegetazione.   Presto notiamo che non ci è possibile scendere ulteriormente.   Alti strapiombi sono tutti attorno a noi.   Siamo scesi di oltre 700 metri di quota, ci troviamo a circa 1300 m di quota e la confluenza è ancora a circa 200 metri più in basso rispetto a noi, ma anche questa via di fuga ci viene negata.

I versanti ripidi
del vallone di Fiotte
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I versanti via via più ripidi del vallone di Fiotte

Sediamo sconsolati e sudati sulla cima di un promontorio boscoso, ammiriamo il lussureggiante panorama e ci guardiamo negli occhi.
<In che bella situazione ci siamo cacciati!> dico ad alta voce, imprecando contro le carte IGM e contro gli "anelli escursionistici" che mi piacciono coś tanto.
<E adesso cosa facciamo?> dico rivolgendomi all’amico..
<Mangiamo un po’ di marmellata e beviamo una birra, dato che è da stamattina alle 8 che camminiamo senza fermarci e senza mettere nulla sotto i denti..> suggerisce Mario, togliendosi lo zaino dalle spalle e aprendo le varie tasche con le sue scorte di cibo.
Mille idee e possibilità affollano la mia mente ma non ne percepisco una veramente valida.   La completa mancanza di conoscenza dei luoghi in cui ci troviamo, non mi aiuta certo nell’effettuare una scelta plausibile.   Tornare indietro e riscendere nel vallone è ora impossibile e poi significherebbe ripercorrere in salita tutta l’impervia valle che abbiamo disceso nella mattinata.   Scendere nel bosco sul "filo" di cresta ci è impedito da nuovi risalti.   Non ci resta che spostarci nel bosco verso destra (cioè verso est e verso la valle di Brenve) cercando un varco agibile nel bosco che ci permetta la discesa.   Mangiando un po’ di marmellata e bevendo un bicchiere di birra, mi convinco che non c’è altra strategia utile per noi, nella situazione in cui ci troviamo.
<Purtroppo> spiego al mio compagno <dobbiamo attraversare il bosco verso destra, in leggera salita, per individuare un vallone che ci permetta di scendere.   Non vedo altra possibilità>.
Sono le ore 16,30 e abbiamo non molte ore di luce a disposizione per il cammino ma siamo ancora fiduciosi di farcela.   Rimettiamo gli zaini sulle spalle e riprendiamo la marcia, tornando a salire nel bosco in mezzo ai larici e agli onnipresenti rododendri.
Potete immaginare cosa sarebbe stata la colorazione di tutte le pareti di questi valloni se fossimo capitati in questi luoghi in piena fioritura dei rododendri: un rosso sangue unico moltiplicato per miliardi di piantine che si sarebbe sicuramente sovrapposto al verde degli alberi e dell’altra vegetazione e al rosso dei nostri graffi su gambe e braccia.
Tra la discesa sulle rocce di fondo nel vallone di Fiotte e la risalita tra rocce e arbusti sul suo bordo destro, i miei pantaloncini hanno ceduto ai graffi e ai tagli.   Si sono strappati nella parte posteriore sinistra e così ho mezzo sedere al vento.
Anche la maglietta di Mario ha ceduto, anch’essa presenta alcune lacerazioni.
Ma non c’è tempo per fermarci e per cambiare vestiario, dobbiamo proseguire.   Si va avanti e, appena la vegetazione e la conformazione del terreno ce lo consentono, ci affacciamo sul vuoto sotto di noi e cerchiamo di scorgere cosa c’è di sotto.   Per lungo tempo effettuiamo questa operazione e sempre vediamo paurosi strapiombi sotto i nostri piedi senza possibilità di discesa; siamo costretti a proseguire verso destra e ad innalzarci sempre più nel bosco.   A volte la salita è ostacolata da risalti verticali di nuda roccia.   Superiamo queste paretine arrampicandoci sopra direttamente, a volte le aggiriamo aggrappandoci agli amici rododendri.   In uno degli ennesimi affacci sulla valle, scorgo un bel sentiero alla base degli strapiombi, ma non c’è una possibilità di una discesa diretta, a meno di volare o di disporre di una corda lunga 200-300 metri.   Si tratta del sentiero che percorre, a mezza costa, tutto il vallone di Brenve.   Lo vedo arrivare da un altopiano ricco di praterie e di baite, situato più in alto e verso destra, ma non capisco ancora quale sia il modo di arrivarci.   Uno sperone roccioso verticale ci fa da quinta e ci impedisce la vista verso destra.   Ma è pur sempre una possibilità.
<C’è un sentiero sotto di noi, alla base degli strapiombi> grido rivolgendomi al mio compagno <e vedo anche delle baite sui pascoli più a monte alla nostra destra, ma non so bene come ci si arrivi> aggiungo sconsolato.
Dopo avere visto la parte di panorama concessaci e valutata la nuova situazione, decidiamo che dobbiamo ancora salire mantenendo la direzione est e poi sud, cioè la direzione che ci dovrebbe condurre verso le baite ed il sentiero.   Ma abbiamo diversi problemi da affrontare: l’orario, il cibo, l’acqua, e le pareti verticali boscose e rocciose che si stagliano alte davanti a noi.   Cerchiamo di ragionare e di affrontare questi problemi un po’ alla volta.
Innanzi tutto continuiamo a salire.   Abbiamo davanti a noi due creste verticali suddivise da un valloncello aereo che scarica copiosa acqua e che va a formare una cascata una volta raggiunti gli strapiombi appena al di sotto della zona dove ci troviamo.   Per spostarci verso destra e salire, dobbiamo superare il primo crestone, il valloncello e raggiungere le pareti della cresta più a destra.   Cercando appigli di ogni tipo, ci spostiamo nel bosco.   Superiamo senza difficoltà la prima cresta su piccole cenge di roccia e scendiamo con cautela nel valloncello.   Cerchiamo di non toccare l’acqua che lo bagna per evitare il rischio di scivolare fino agli strapiombi e finalmente raggiungiamo le pendici della seconda cresta.
Ora si tratta di continuare a salire, tanto per cambiare!   Anche qui le pareti sono verticali o quasi e la fitta vegetazione ci impedisce di proseguire agevolmente.   Tuttavia i rami delle giovani conifere e i rododendri ci sono di grande aiuto.   Si sale lentamente e facciamo deviazioni continue verso destra per cercare di capire la nostra posizione rispetto alla conformazione della montagna.   Notiamo sempre gli strapiombi attorno a noi e la risposta è sempre una sola: dobbiamo continuare a salire.   Anche in questa zona ci troviamo impegnati a superare pareti di roccia e non sempre ci riusciamo.   Spesso siamo costretti a ridiscendere e a trovare un nuovo passaggio, ma la vista dal basso dei passaggi utili, che possiamo raggiungere e superare, è spesso insufficiente e ingannevole.
Pur tuttavia si sale.   Raggiungiamo una fascia boscosa sotto alcune rocce sporgenti.   Notiamo che la salita al di sopra di questa è alquanto difficile e verticale.   Poco prima avevamo già visto che la vetta dello sperone roccioso che stiamo risalendo è ancora distante.   Siamo risaliti all’incirca a 1700 m di quota.
Che fare?
Do uno sguardo all’orologio e mi accorgo che sono le ore 20 e 30 minuti!
<Mamma mia com’è tardi> dico a Mario.
<Bisogna avvisare le famiglie a casa che non torneremo questa sera ma che ci adatteremo qua nel bosco in un bivacco di fortuna>.
Dalla zona dove ci troviamo non è facile avere un buon segnale per il telefono cellulare che ho solo io.   Mi giro in tutte le direzioni per cercare di avere la direzione migliore verso i ripetitori e provo a chiamare mia moglie a casa.   Spesso il telefono non prende il segnale, oppure appena agganciato, si sconnette immediatamente.   Dopo molti tentativi, finalmente riesco a chiamare casa:
<Olga, mi trovo nel bosco in una zona a est del Vallone La Manda e di quello di Fiotte> urlo a mia moglie, ma lei sente la mia voce solo a tratti e non capisce il significato del messaggio.
Si susseguono le cadute di linea e la ricerca di un segnale migliore.   Alla fine, mia moglie riesce a capire che siamo partiti dal Vallone La Manda (o della Manda), che siamo bloccati in un altro vallone e che abbiamo deciso di fermarci per la notte nel bosco, riparati sotto un roccione.
Bene, abbiamo avvisato i familiari a casa e tranquillizzato le mogli.
Ora si tratta di prepararci per la notte e di mangiare qualcosa.


La notte nel bosco
Due sporgenze rocciose ci sembrano adatte e sufficienti per ripararci.   Togliamo gli zaini e cominciamo a vestirci alla meglio con gli abiti che ci siamo portati al seguito, comincia a far freddo e noi iniziamo a tremare.   Tolgo i pantaloncini rotti, le calze basse ed elimino i "vecchi" cerotti ai piedi.   Proteggo le dita dei piedi con nuovi cerotti, poi infilo un paio di calzettoni lunghi di lana e indosso i pantaloni lunghi.   Poi mi tolgo la maglietta sudata, mi metto addosso una nuova maglietta, la camicia e la giacca a vento.   Infilo in testa anche il passamontagna che, fortunatamente, ho portato con me.   Sistemo tutto il resto del materiale nello zaino e tiro fuori il sacchetto dei viveri e la borraccia d’acqua.   Sono pronto per il pasto, anche se non ho per nulla appetito.   Mario ha fatto le stesse operazioni e si appresta anche lui alla .. cena..   Si tratta di un uovo alla "coque" a testa, un po’ di sale, un po’ di pane, un pezzo di formaggio, messi a disposizione da Mario e da un arancio a testa e tutta l’acqua rimasta nella borraccia, messi a disposizione dal sottoscritto.   Non si spreca nulla del poco che si ha a disposizione.   Con la mia parte d’acqua, prendo anche un’aspirina.   Ho un po’ di mal di testa e anche un po’ di bronchite che mi fa tossire.
Speriamo bene...
Nel frattempo la luce diurna è calata velocemente e piccole luci cominciano ad accendersi nei villaggi della montagna di fronte a noi e nello scorcio di fondovalle che è ancora alla nostra vista.   Il freddo aumenta e cerchiamo di distenderci il più possibile a terra per offrire meno parti del corpo all’aria.   Purtroppo non abbiamo altre coperture se non quelle che indossiamo.   Usiamo lo zaino come cuscino ed io infilo le mani nelle calze basse usandole come guanti per proteggermi dal freddo.   Sono pronto o quasi a passare la notte all’addiaccio.   Do la buona notte a Mario e mi distendo sotto il "mio" roccione.   Sono in leggera discesa e ad ogni movimento, scivolo in basso.   Mi puntello con i talloni e riprovo a chiudere occhio.   Non è semplice, sia perché sono molto stanco, sia perché il freddo non mi aiuta e sto tremando forte.   In compenso posso ammirare una notte stellata come da anni non avevo più visto, senza nuvole, senza pioggia e senza vento.
In questa strana situazione disagiata, siamo anche un po’ fortunati.   Ripenso alla strada fatta in questa giornata e faccio mentalmente un po’ di conti.
Abbiamo iniziato a camminare alle ore 8 e terminato alle ore 20,30 e, tenendo conto di circa 30 minuti di soste, si tratta di 12 ore di escursione senza quasi mai fermarci e senza mangiare.   Il dislivello superato in salita è stato complessivamente di circa 1100 metri nella prima parte della mattinata e di 400 metri nella risalita nel bosco nel pomeriggio, con un totale di 1500 metri.   La discesa complessiva di questa giornata è stata invece di circa 900 metri.
Non male per una passeggiata semplice, da sfruttare come primo allenamento.
Rimuginando a tutto ciò, provo ad appisolarmi un poco.   Ma è solo un dormiveglia, continuo a tremare dal freddo e ogni tanto apro gli occhi per ammirare la coperta di stelle che è sopra di me, poi provo a dormicchiare un po’, aspettando con ansia l’arrivo dell’alba per riprendere a camminare e per toglierci da questo impaccio.


Lunedì 29-5-2006:
La salita e l’escursione continuano..

<Sono quasi le 6> mi avverte Mario, ormai pronto per ripartire <è già chiaro e conviene riprendere la salita>.   In effetti, lo vedo già in piedi con lo zaino sulle spalle che sta scrutando la via migliore per salire.   Velocemente, sono pronto anch’io: sono già vestito, non devo lavarmi, non ho nulla per colazione, nemmeno acqua da bere nonostante che abbiamo entrambi la gola arsa.   Mi do una spolverata, tolgo le calze basse (usate come guanti), il passamontagna, la giacca a vento e ripongo il tutto nello zaino poi, indossatolo, seguo Mario che si sta inerpicando già in alto in mezzo ai rododendri.   Continuiamo a salire cercando i passaggi migliori e mirando sempre alla vetta di questo bastione, che non sembra mai raggiungibile.   Un paio di volte, dopo aver arrampicato su pareti rocciose, siamo bloccati da salti troppo difficili da affrontare senza corde e allora dobbiamo ridiscendere, malvolentieri, aggrappandoci a rocce e rododendri, cercando un’altra direzione.   Finalmente, mentre il sole diventa alto e la temperatura si fa più calda, vediamo sopra di noi le ultime rocce senza più alberi, stiamo sbucando sulla cima dello sperone.   Usando gambe e mani risaliamo i massi e siamo sulla vetta.
Siamo tornati sui 2000 metri di quota e il panorama è completamente visibile a 360°.
Alle nostre spalle, verso nord, vediamo tutte le località della parte bassa della Valle d’Aosta e tutte le cime dal Cervino al Monte Rosa.

Di fronte a noi, verso sud, ci appare chiaramente la testata del vallone di Brenve con le pietraie, i dirupi in parte innevati e con le verdi praterie ridotte a pascolo che arrivano fin sotto di noi, disseminate di baite e casolari sui vari livelli in ogni dove.   Noi ci troviamo sulla prima cima di una lunga bastionata rocciosa che racchiude l’alto vallone di Brenve sul versante nord.   Da dove ci troviamo non è possibile scendere, occorre procedere per cresta, ancora verso destra, con direzione sud-ovest e poi sud.   Sulla nostra destra la costiera rocciosa continua con altre cime e forma un arco di cerchio che si chiude verso destra ad una ampia sella tra due cime importanti.   Guardiamo nuovamente le cartine e scopriamo che la sella si chiama Colle Lavere (2190 m) e che si apre tra la Punta Lavere (2203 m) a nord e il Monte della Corda (2364 m) a sud.   Noi abbiamo raggiunto una delle cime rocciose della cresta che porta alla Punta Lavere e dobbiamo raggiungerla necessariamente se poi vogliamo arrivare alla successiva sella del Colle Lavere.

Si controllano
le cartine IGM
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Si controllano le cartine IGM più volte

Ciò è diventato per noi indispensabile poiché abbiamo notato, avendolo proprio di fronte, che c’è un crestone completamente boscoso, con sottobosco misto di rododendri e ginepri, che parte dal Colle Lavere e che raggiunge il pianoro con le baite.
E’ la nostra unica via di discesa.
Noi siamo assetati, un po’ disidratati e cominciamo ad essere stanchi.   Sono ormai le ore 11 e 30 min. e il caldo si fa intenso.   Sudiamo molto e avanziamo a fatica tra un roccione e l’altro della cresta.   Spesso ci tocca scendere per raggiungere la base dello sperone roccioso successivo e cerchiamo di sfruttare i miracolosi rododendri come liane.   Guardiamo continuamente sul lato nord per vedere se troviamo acqua o neve, ma invano.   A volte aggiriamo gli spuntoni rocciosi più insidiosi sul versante più agevole e continuiamo a salire.
Tra la seconda e terza cima della costiera che stiamo seguendo, in un intaglio sul lato nord, noto la presenza di un piccolo nevaio che resiste ancora.
<Mario, c’è neve> grido all’amico, e mi butto a capofitto tra la fitta e ripida vegetazione per raggiungere la chiazza bianca.
In breve siamo al nevaio e ci puliamo il viso sudato con la neve, poi mentre ne mangiamo una grande quantità, cominciamo a riempire la borraccia e ogni altro contenitore in nostro possesso.   Agitiamo ben bene questi contenitori e li teniamo con entrambe le mani per scaldarli un poco, per far sciogliere la neve velocemente e bere l’acqua risultante.   Sostiamo al nevaio un bel po’, siamo stanchi ma la neve ci ha rinfrancato.   Ci guardiamo attorno e scopriamo che siamo sulla bastionata rocciosa ad una quota di circa 2200 metri proprio a sud del Colle di Fiotte, che vediamo distintamente a circa 200 metri sotto di noi.

Il lago Voselline
sotto il Colle Lavere
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Il lago Voselline (c. 2100 m), sotto il Colle Lavere

Abbiamo praticamente compiuto un micidiale percorso a "S" e, con il senno di poi, ci rendiamo conto che avremmo potuto raggiungere facilmente questa zona, dal Colle di Fiotte, già ieri pomeriggio, con una breve salita aggiuntiva seppur impervia.
Ora, nella posizione raggiunta, reputiamo che non ci conviene ridiscendere al Colle di Fiotte tra il fitto della vegetazione, peggiorando il nostro livello di graffi alle braccia.   Adesso, abbiamo le gambe un po’ protette avendo indossato i pantaloni lunghi ma gambe e braccia sono ormai abbondantemente segnate dal giorno prima.

Un po’ rinfrancati dalla neve e con le borracce piene, riprendiamo la faticosa salita.   Con un finale in saliscendi, tra rododendri e rocce, raggiungiamo la Punta Lavere.   Poi scendiamo lungo un evidente sentierino, superiamo un ultimo gendarme roccioso e finalmente, alle ore 13 circa, arriviamo al Colle Lavere.
Ci sediamo sull’insellatura e ci riposiamo.   Il Monte della Corda è proprio sopra di noi e vediamo la sua vetta rocciosa che ci sovrasta di circa altri 200 metri.   Nelle condizioni di stanchezza in cui ci troviamo, non ci attrae proprio e lo lasciamo volentieri dove si trova.   Alle nostre spalle, verso ovest, rivediamo tutta la parte alta del vallone di La Manda con gli alpeggi ormai noti.   Proprio sotto al nostro colle notiamo la presenza di un piccolo bacino lacustre, posizionato tra rocce e sfasciumi: si tratta del lago Voselline (c. 2100 m) che era rimasto nascosto alla nostra vista fino ad ora.


La discesa verso il Vallone di Brenve
Davanti a noi si apre un valloncello a forma di ventaglio, con molte crestine che convergono verso il fondo.   Esso è racchiuso dalla bastionata della Punta Lavere (a sinistra), che abbiamo appena superato, e il crestone boscoso (a destra), nostra meta per la discesa.   Per raggiungere quest’ultimo, dobbiamo ancora tagliare, a mezza costa, piccole insenature e crestine ricche di vegetazione che separano la sella dove ci troviamo dal crestone boscoso, nel punto più favorevole per la nostra discesa.   Studiamo con cura il tragitto da seguire, identifichiamo i punti di riferimento da non mancare per non perdere quota: sassi isolati, piccoli nevai, una bancata rocciosa inclinata da superare alla sua sommità, qualche albero, ecc..

Poi partiamo.
Scendiamo leggermente in verticale e poi pieghiamo verso destra, facendoci largo tra vegetazione e rocce.   Spesso ci perdiamo di vista poiché scendiamo in piccole depressioni per riemergere dopo poco su altrettante crestine.   Spesso sfruttiamo gli innumerevoli rododendri che riempiono tutta questa parte alta del vallone e ci appendiamo volentieri ai loro robusti rami.   Dopo una buona mezzora di questa ginnastica raggiungiamo la sommità del "nostro" crestone.   Scendiamo direttamente lungo il suo spigolo nord, trovando minori difficoltà, fino ad arrivare ad un piccolo spazio pianeggiante e libero da arbusti.

Il bel sentiero
nel vallone di Brenve
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Il bel sentiero con la balaustra in legno,
nella parte centrale del vallone di Brenve

Da qui vediamo bene tutto il percorso fatto, la parte ancora da scendere e la particolare conformazione dello sperone dove ci troviamo.   Esso è boscoso sul suo versante nord-ovest e ovest mentre è roccioso con pareti verticali nel versante est.   Dovremo quindi seguire la sua cresta che si orienta da nord a ovest, tenendoci quindi diritti nella discesa piegando, dove serve, un po’ a sinistra e facendo attenzione agli strapiombi sulla destra.   Ogni tanto ci portiamo sul bordo strapiombante di destra per valutare meglio la nostra distanza dal fondovalle e cominciamo a individuare molto bene i vari gruppi di baite disposti sui vari livelli dell’altopiano, con i pascoli a ridosso delle bastionate rocciose della testata della valle.

Le pareti rocciose verticali
della parte centrale del vallone di Brenve
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Le pareti rocciose verticali della parte centrale
del vallone di Brenve, che sostengono i boschi
nei quali abbiamo trascorso la notte

A parte gli alpeggi di Breuil e di Barme, che rimangono invisibili a noi poiché troppo in alto (si trovano a oltre 1900 m di quota, più spostati a destra e nascosti da altre creste), vediamo molto bene i vari agglomerati di baite, da quelli di Grand Derby (1747 m) a quelli di Creton (1719 m) e di Grand Lavassey (1639 m).   Man mano che scendiamo, la vegetazione al suolo cambia di composizione: i rododendri cedono il posto ai ginepri e all’erba "ollina" (quella che si presenta a folti ciuffi con gli steli a forma cilindrico-conica e ripiegati verso valle).   Gli alberi ritornano a essere numerosi e sono formati prevalentemente da gruppi di giovani larici che ci aiutano a scendere nei punti dove il pendio diventa ripido.   Sono ancora rare le popolazioni di ontani.   Mentre nelle zone alte e sulle creste abbiamo ammirato i silenziosi voli dell’aquila, qui nel fitto del bosco siamo invece attorniati da molti suoni diversi di uccelli.   Alcuni cupi, altri squillanti e rapidi, altri ancora ritmati come quello dell’upupa.   Questi suoni ci tengono compagnia e ci rallegrano durante la parte finale del nostro sforzo.

All’improvviso, in un folto di rami poco più in basso del luogo dove mi sto muovendo, sento un frusćo deciso e vedo un grande uccello buttarsi a valle a volo radente sulla vegetazione del sottobosco, sfiorando i rami bassi degli alberi.   E’ un bel esemplare di gallo forcello, almeno così mi sembra, che sfugge velocemente alla nostra vista.   Ho solo il tempo per vedere una striscia rossa sopra l’occhio e il piumaggio scuro quasi nero e per sentire il suo verso tipico: "ka-ka-ka-keh - ah.."

Con un ultima discesa in verticale raggiungiamo prima una pietraia e poi un prato inclinato libero da alberi.   Punto ad una baita proprio davanti a noi e, dopo un ultimo zig-zag tra erba e sassi, siamo davanti alla costruzione.   Non è in cattive condizioni e sicuramente viene ancora utilizzata.   In tutta la zona non c’è nessuno, probabilmente è ancora presto per venire qui a passare i mesi più caldi dell’anno, portando le bestie sui pascoli più alti del vallone.   A poche decine di metri a valle della baita, scorre il ruscello con acqua fresca.   Corriamo verso l’acqua mentre ci liberiamo di zaino, scarpe e indumenti.   Sono circa le ore 14 e 30 min, e siamo disidratati.

La cascata, in un avvallamento
delle pareti rocciose verticali
nel vallone di Brenve
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L’alta cascata, in un avvallamento
delle pareti rocciose verticali nel vallone di Brenve

Non abbiamo fame ma sentiamo un’arsura in gola.   La neve ci ha aiutato a superare un momento di disagio, ma non è così saporita come l’acqua fresca di questo ruscello, che beviamo avidamente.   Ci laviamo tutto il corpo e buttiamo abbondante acqua in faccia e sulle ferite delle gambe e delle braccia.
<Mario, guarda il segno giallo del sentiero pitturato sull’angolo della baita> dico all’amico, indicando il segnale sul muro.   Ormai siamo fuori da ogni pericolo e ci riposiamo un po’ sui bordi del ruscello.   Provo a telefonare a casa per avvertire che siamo sul sentiero, ma il telefonino non ha segnale sufficiente e non riesco a comunicare.   Spero di poterlo fare in un punto più favorevole della valle, fra breve, quando inizieremo la discesa su sentiero.
Abbiamo graffi su tutte le gambe e, anche se non sono ferite profonde, fa un certo effetto guardare la moltitudine di striature rosse lasciateci dalle arrampicate e dalle discese nei boschi.   Ci rivestiamo con calma, indossando i pantaloni lunghi e calze asciutte.
Rimettiamo lo zaino sulle spalle, prendiamo i bastoncini e ripartiamo.   Camminando sul sentiero che scende dolcemente nel vallone di Brenve, ci sembra di volare.   Non dobbiamo stare attenti agli strapiombi e fare attenzione ad appenderci ai rami più robusti degli alberi e dei rododendri: ora sul sentiero possiamo camminare tranquilli, con maggiore velocità e possiamo scambiarci le opinioni sulle situazioni pericolose appena superate.
Sull’altro versante del vallone, nei pressi del Santuario di Retempio, continuano a passare gli elicotteri che trasportano il materiale per la costruzione di una nuova baita.   Per tutta la mattinata, scrutavamo il loro passaggio in quota e a grande distanza dai luoghi che stavamo risalendo.   Ci domandavamo come avremmo potuto avvisarli in caso di necessità.   Ma questi erano solo pensieri fugaci, poiché eravamo molto impegnati nella salita degli speroni rocciosi.   Molte volte il loro volo e il loro rumore ci avevano infastidito.   Anche nel primo pomeriggio i voli erano ripresi, ma ormai non ci interessavano più.
Dopo alcuni tornanti nella parte alta del vallone, il sentiero, nella parte media della valle, segue un percorso piuttosto rettilineo che taglia, a mezza costa, il versante est del vallone.   L’alveo del torrente Brenve resta ancora molto più in basso rispetto alla nostra quota, sulla nostra destra.   Superiamo l’alpeggio Mialet (1554 m), formato da alcune costruzioni poste quasi a picco sulla valle e finalmente raggiungiamo il bel sentiero bordato da una nuova staccionata in legno, che vedevamo con apprensione ieri, molto più in basso di noi, mentre stavamo risalendo le creste e guardavamo verso il basso, sul bordo degli strapiombi, per capire dove e come avremmo potuto scendere e raggiungerlo.   In breve, passiamo proprio sotto le alte pareti rocciose che ci avevano impedito la discesa.   Ci rendiamo conto di quanto esse fossero alte e verticali.   Verso la parte centrale di queste pareti abbiamo riconosciuto la caduta d’acqua (più che una cascata) che proviene da un avvallamento in alto sulle pareti proprio nella zona che avevamo superato il giorno prima, scavalcando un valloncello roccioso, tra due creste rocciose.   Superata la vasta ed impressionante fascia rocciosa, sopra la quale avevamo passato la notte precedente, ci abbassiamo notevolmente nella valle, seguendo numerosi tornanti nel bosco.   Siamo tornati tra alti alberi, ma è ormai un piacere camminare su sentiero che spesso ha il fondo formato da morbida erba.   Arriviamo così all’altezza dell’alpeggio Fontana (1291 m), formato da alcune baite e da una bella cappella che occupano un dosso erboso che si affaccia sul ripido pendio della valle.
Appena superato l’alpeggio, mentre proseguiamo la discesa sul sentiero, sentiamo nuovamente il rumore di un elicottero.
Questa volta è più vicino a noi.
Guardiamo in alto e lo vediamo proprio sulle nostre teste, con i colori rosso-bianco della fusoliera e notiamo che non ha carichi sotto di sè.   Non è uno degli elicotteri utilizzati per i lavori della nuova baita.
<Sta a vedere che stanno cercando noi> dico a Mario, mentre l’elicottero si avvicina di più ed emette un richiamo sonoro.
Ci fermiamo e notiamo che a bordo ci sono parecchie persone e alcune di esse ci stanno facendo cenno di fermarci.   Un portellone si apre e appare una persona che ci fa segnali.   L’elicottero si mantiene in volo ma si ferma proprio sopra il poggio delle baite dell’alpeggio Fontana.   Poi scende una persona con il verricello, mentre noi ritorniamo sui nostri passi e ci riportiamo nei pressi della cappella della piccola frazione.   Appena la persona tocca terra, l’elicottero si allontana un po’ per permetterci di avvicinarci e soprattutto di sentire le parole che ci scambiamo.
<Siete voi due quelli dispersi?> ci chiede la persona scesa dall’elicottero che scopriamo essere del Soccorso Alpino.
<Si siamo noi, ma non siamo dispersi> rispondiamo <ieri abbiamo sbagliato vallone e siamo stati costretti a bivaccare.   Oggi siamo risaliti ad un nuovo colle e siamo discesi qui nel vallone di Brenve> spieghiamo al soccorritore <e fino ad ora non siamo riusciti a metterci in contatto con le nostre famiglie poiché il telefonino non prendeva i segnali>.
<OK! Sono loro> egli conferma alle persone sull’elicottero tramite il walky talky, poi ci spiega che <la Protezione Civile è stata messa in allarme dalle vostre mogli e, dalle informazioni ricevute, abbiamo capito che eravate in queste zone.   Abbiamo anche visto dove avete lasciato l’auto nel vallone La Manda>.
<Voi come state?> s’informa il soccorritore <volete proseguire a piedi o volete essere trasportati in elicottero?>.
<No grazie!   Stiamo bene e vogliamo proseguire a piedi.   Dobbiamo anche andare a recuperare l’auto> confermiamo, <vi preghiamo solo di avvisare e rassicurare le nostre famiglie, visto che non lo possiamo fare noi...>.
<Che percorso intendete ancora fare e quante ore di cammino prevedete, prima di raggiungere l’auto?> sono le ulteriori richieste dell’alpinista.
<Beh.. dovremo raggiungere le frazioni di Crest e poi dobbiamo tornare verso Fournier nel vallone La Manda, fino a raggiungere di nuovo Devine.   Prevediamo di camminare ancora per 2 ore o 2 ore e 30 minuti> spieghiamo.

Comunicate le nostre intenzioni alle persone dell’elicottero, lo ringraziamo, lo salutiamo e, mentre egli risale sull’elicottero con il verricello, riprendiamo il nostro cammino un po’ più tranquilli, anche se un po’ sorpresi per l’iniziativa delle famiglie.   Era però vero che non avevamo più dato notizie di noi dalla sera precedente.   In breve, superiamo prima il bivio del sentiero per il Santuario di Retempio e poi la confluenza del vallone di Fiotte (quello in cui ci eravamo infilati il giorno prima pensando di arrivare fin qui, ma dove alti risalti rocciosi ce lo avevano impedito) e con una lunga traversata in falso piano raggiungiamo un altro importante bivio.

Arrivo alla frazione
di Crest basso
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Arrivo alla frazione di Crest basso

Diritto davanti a noi, sbarrato da catene, si apre un sentiero in falso piano che presto segue la copertura di un canale irriguo coperto (uno dei famosi "Ru" della Valle d’Aosta), mentre sulla destra si diparte un altro sentiero che scende verso il fondovalle.

Tra le stradine della
frazione di Crest basso
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Tra le stradine della frazione di Crest basso

Superiamo le catene e seguiamo il sentiero sopra il "Ru", passiamo su un ponte in ferro di colore bianco posto sotto alti roccioni ed arriviamo nella zona intermedia alle frazioni di Crest Alto e Crest Basso.   Scendiamo la lunga scalinata in pietra che ci porta a Crest Basso e raggiungiamo velocemente questa frazione che sorge sugli alti pendii della valle, proprio sulla cresta che separa il vallone di La Manda da quello di Brenve.   Ci avviciniamo alla fontana per bere un po’ d’acqua fresca e per riposarci un po’.   Siamo finalmente qui, anche se con un giorno di ritardo.   Qui troviamo alcune persone, appena arrivate con le loro bestie.
<Abbiamo sentito e visto l’elicottero passare qui sopra, cercava qualcuno?> ci chiedono incuriosite <avrà senz’altro spaventato i nostri manzi che abbiamo appena liberato nei pascoli qui attorno> si lamentano.

<Non preoccupatevi> rispondiamo <quelli dell’elicottero cercavano noi ma non hanno spaventato di più i vostri manzi degli altri elicotteri che hanno volato su e giù per tutta la giornata>.


Lungo i "Ru" tra Crest e Fournier
Chiediamo la conferma dell’inizio del "Ru" che collega questa zona a Fournier e, avute le indicazioni necessarie, salutiamo le persone del villaggio e riprendiamo la salita.   Risaliamo tutti i gradini scesi e torniamo nella zona intermedia tra i due Crest.   A fatica, troviamo una traccia tra l’alta vegetazione e iniziamo a camminare su essa rientrando nel vallone di La Manda lungo il suo versante ovest, risalendolo verso monte.   Quasi subito ritroviamo il canale coperto che porta l’acqua delle alte quote verso le praterie sopra Hône e lo seguiamo sul suo bordo superiore.

Ritorniamo all’interno del vallone e lo percorriamo a ritroso intravvedendo, poco più in alto rispetto a noi sull’altro versante, le costruzioni rurali della parte bassa del vallone di La Manda, inclusa la scuola e la cappella, tra Borettes e Cotetta.   Dove la valle si restringe, raggiungiamo un piccolo ponte in ferro che ci permette di attraversare la forra del torrente La Manda.   Abbandoniamo questo ramo del "Ru" che continua a salire verso la parte alta del vallone, arriviamo sull’altro versante (quello rivolto a est) e seguiamo, questa volta verso valle, un altro antico "Ru".   La pendenza si mantiene costante, in leggera salita, e la camminata resta agevole.

Particolare di un
rascard nella frazione
di Borrettes di Fournier
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Particolare di un rascard nella frazione di Borrettes di Fournier

Dopo aver percorso una distanza simile a quella dell’altro versante, raggiungiamo finalmente la strada carrozzabile asfaltata che avevamo risalito in auto il giorno prima.   Il cammino alla scoperta di questi antichi "Ru" rappresenta già una bella escursione, ma noi, dopo due giorni di cammino, non ne potevamo più e ci siamo goduti poco questa ultima parte del percorso.
Non vediamo l’ora di raggiungere l’auto.   Ci tocca risalire, a fatica, ancora cinque tornanti stradali, prima di raggiungere il piazzale terminale.


L’ultimo incontro e la conclusione dell’escursione
Sul piazzale, troviamo la nostra auto ma anche un gippone della Guardia Forestale, con una guardia in attesa, sicuramente, del nostro arrivo.
<Sono rimasto qui ad attendervi> ci conferma la guardia <sono della stazione di Pontboset e sono io che ho guidato il pilota dell’elicottero in queste valli alla vostra ricerca>.   Ci chiede le generalità per compilare il verbale e poi ci soffermiamo a illustrare i particolari della nostra escursione e a confrontarli con le ricerche effettuate.   Intanto Mario ritrova la lattina di birra nascosta il giorno prima al fresco, nei prati vicini al piazzale, e sorseggiamo con soddisfazione il suo contenuto, offrendone una parte anche alla guardia.   Sono le ore 17 e, considerando le soste per bere e per riposarci, oggi abbiamo camminato per circa 10 ore, naturalmente senza mangiare nulla.   Il dislivello totale in salita percorso oggi è stato di oltre 1000 metri e quello in discesa di oltre 1100 metri ma, soprattutto, la salita è stata compiuta tra rocce e ripidi pendii di rododendri e ginepri, che hanno aumentato i tempi e le difficoltà.   Riusciamo a parlare al telefono con le famiglie in attesa e confermiamo che abbiamo raggiunto l’auto e che in un’ora circa saremmo tornati a casa.   Scopriamo che erano state già avvertite del nostro "ritrovamento" dal personale della Protezione Civile.   Intanto, man mano che spieghiamo l’itinerario percorso, vediamo apparire la meraviglia e lo stupore negli occhi del nostro interlocutore.
<Nel vallone di Fiotte sono vent’anni che non ci va più nessuno.   Nemmeno i cacciatori si inoltrano più da quelle parti> ci dice la guardia.   Poi prosegue <appena a valle della baita di Fiotte, partiva una traccia di sentiero che si manteneva in alto e a sinistra sul vallone.   Poi, nel bosco, attraverso alcuni tornanti difficili da individuare, il sentierino raggiungeva Echarvaz (1464 m) e da ĺ partiva il sentiero per Crest.   Ma ora è difficile da individuare tra la fitta vegetazione>.
<Infatti> rispondiamo <noi non abbiamo visto le tracce indicate sulle carte IGM e siamo scesi all’interno del vallone, fino a trovarci bloccati tra i salti della gola>.
<Comunque, siete stati bravi a trarvi d’impaccio da soli, specialmente quando vi siete trovati tra gli strapiombi durante la risalita verso le creste della Punta Lavere> ci dice la guardia in maniera convinta <pensate che qualche tempo fa, due asini che si trovavano più o meno nelle zone dove siete passati voi, si sono spinti e sono precipitati da quelle rocce sfracellandosi duecento metri più in basso>.
<Mannaggia che sfortuna> è la nostra laconica risposta.
Desiderosi di bere ancora qualcosa, proponiamo alla guardia di scendere al bar di Pontboset e di fermarci ancora un po’ a chiacchierare.   Riprendiamo l’auto e seguiamo il gippone della Guardia Forestale fino al paese ma, sfortunatamente, troviamo il bar chiuso (scopro così che il lunedì sono chiusi quasi tutti i bar dei paesi della Valle).   Prendiamo allora congedo dalla Guardia, la salutiamo, la ringraziamo e ci diamo un arrivederci per nuove escursioni in queste zone.
<Usate le cartine delle Comunità Montane e seguite solo i sentieri numerati> ci consiglia nuovamente <così non vi perderete!>.
<Certo, va bene, grazie!> rispondiamo.
Un ultimo saluto e una stretta di mano, poi lasciamo Pontboset e scendiamo a Hône.   Qui riusciamo a trovare un piccolo bar aperto e ci fermiamo per una ulteriore bevuta.   E, mentre sorseggiamo le bibite fresche rilassandoci al caldo sole del pomeriggio, ci viene in mente la storia dei due asini caduti dai dirupi.
<Meno male che noi non ci siamo spinti, mentre risalivamo gli strapiombi...> dico a Mario sorridendo, ma con un certo brivido sulla schiena.



Una costruzione rurale a rascard nel vallone di La Manda (Valle di Champorcher - Valle d’Aosta)


 Enea Fiorentini
 <La cronaca della complessa escursione nei valloni di La Manda, Fiotte e Brenve, valloni laterali della Valle di Champorcher (Valle d’Aosta), del 28-29 maggio 2006>

 (Note scritte ad Aosta il 20/6/2006)


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Aggiornamento - 25/07/2006