Cronaca dell’escursione su due tappe della Via Francigena nel Lazio,
insieme con i soci della Sezione di Roma dell’Associazione "Giovane Montagna"
(dal 30/3 al 31/3/2019)

( da Bolsena [m 350 slm] a Montefiascone [m 590 slm] e da qui a Viterbo [m 326 slm] per circa 35 km )

Cronaca dell’avvicinamento a Bolsena (28/03/2019)
e della visita a Viterbo (29/03/2019)



In cammino insieme con i soci della
Associazione G.M. ("Giovane Montagna")
Sezione di Roma


( su due tappe della Via Francigena italiana )
(da Bolsena a Viterbo)

Escursione organizzata dai responsabili della sezione G.M. di Roma

Cronaca a cura di Enea Fiorentini (G.M. di Roma)
(30 - 31 Marzo 2019)







 
           NOTE VARIE:

  1. Un cenno di storia su Bolsena:    ->>> Back

    [ In epoca etrusca arcaica (VI secolo a.C.), sull’altura che sovrasta l’attuale città di Bolsena e che ospita la Rocca Monaldeschi e il quartiere del Castello, sorgeva un piccolo insediamento etrusco di carattere militare, uno dei tanti nel territorio volsiniese che, secondo la testimonianza di Tito Livio, sarebbe stato distrutto dai Romani nel 308 a.C.   Le origini di Bolsena sono più recenti e risalgono alla seconda metà del III secolo a.C. quando i Romani, distrutta nel 264 a.C. la città di Orvieto (l’etrusca Velzna), costrinsero i superstiti a trasferirsi sulle sponde nord-orientali del grande lago volsiniese (conosciuto poi come Lago di Bolsena), dove questi fondarono una nuova città a cui dettero lo stesso nome della precedente (Velzna), poi latinizzato in Volsinii Novi.   Dal nome latino, trasformatosi più volte nel corso dei secoli (Bulsinii, Volseno, Borseno) è nato infine il nome di Bolsena.   La città etrusco-romana conobbe un periodo di grande sviluppo a partire dalla metà del II secolo a.C., quando venne attraversata dalla via Cassia Consolare, e mantenne la sua importanza fino all’epoca di Costantino (IV sec. d.C.), conoscendo poi un periodo di lenta decadenza, fino al suo completo abbandono, verificatosi tra il V e il VI sec. d.C. a causa delle invasioni dei Goti e dei Longobardi.   La zona più importante dell’antica città di Volsinii Novi è stata individuata su Poggio Moscini, sull’altura sopra citata e a breve distanza dal quartiere del Castello.   Essa è tornata alla luce grazie a quarant’anni di ricerche della Scuola Francese di Storia e Archeologia di Roma.   Oggi, nell’area di Volsinii Novi, sono visitabili la grande "Piazza del Foro", delimitata verso sud dai resti di una "Basilica" trasformata agli inizi del IV sec. d.C. in "Chiesa"; la "Casa delle Pitture", ornata da pregevoli affreschi; la "Casa ad Atrio", dotata di un grande ninfeo e di preziosi pavimenti marmorei.   Più a oriente di quest’area si trova l’"Anfiteatro del Mercatello", dove la tradizione vuole che Santa Cristina, patrona di Bolsena, abbia subito l’ultimo fatale martirio (quello con le frecce).
    Notizie tratte liberamente da: "Tuscia Mirabilis"
    E dal sito web: http://www.meteomarta.altervista.org/portale/la-storia-di-bolsena ]



  2. Un cenno sulla Basilica di Santa Cristina di Bolsena:    ->>> Back

    [ La Basilica di Santa Cristina è una chiesa romanica costruita nel 1078 per volere di Matilde di Canossa e del Papa Gregorio VII.   La sua facciata è stata ricostruita in stile rinascimentale nel 1494, mentre il suo campanile è trecentesco con tre serie sovrapposte di finestre a bifore.   La Basilica poggia su una antica chiesa ipogea detta "Grotta di Santa Cristina", che fu il primitivo luogo di culto dedicato alla santa.
    La chiesa ipogea è situata all’entrata di una serie di catacombe dove sembra che sia stato conservato il corpo della santa bambina (Santa Cristina) fin dal III - IV secolo d.C. quando fu nascosto da un gruppo di suoi fedelissimi durante le persecuzioni di Diocleziano.   Più tardi, verso il XVI secolo, quando il Cristianesimo era ormai già da tempo divenuto religione ufficiale, venne ripreso il culto della santa costruendo la basilica romanica che esiste ancora oggi.   Inoltre fu fatta realizzare da Benedetto Buglioni una statua in terracotta della Santa rappresentata durante il sonno della morte.
    Notizie tratte liberamente dal sito web: https://www.visitbolsena.it/santa-cristina-bolsena.asp ]



  3. Un cenno sul Miracolo Eucaristico di Bolsena:    ->>> Back

    [ Uno dei racconti del Miracolo Eucaristico di Bolsena, tra i più coevi con questo evento, è racchiuso in uno dei 12 libri della "Nuova Chronica" di Giovanni Villani (n. a Firenze nel 1280, m. a Firenze nel 1348).   In questo documento si descrive così il miracoloso evento.   Nell’estate del 1263 un sacerdote boemo, di nome Pietro da Praga, iniziò a dubitare della reale presenza di Gesù nell’ostia e nel vino consacrati.   Il sacerdote si recò allora in pellegrinaggio a Roma, per pregare sulla tomba di Pietro e fugare i suoi dubbi.   Il soggiorno romano lo rasserenò e intraprese il viaggio di ritorno.   Percorrendo la via Cassia si fermò a pernottare a Bolsena, dove i dubbi di fede lo assalirono nuovamente.   Il giorno successivo celebrò la messa nella chiesa di Santa Cristina.   Secondo quanto tramandato dalla tradizione, al momento della consacrazione l’ostia cominciò a sanguinare sul corporale.   Impaurito e confuso il sacerdote cercò di nascondere il fatto, concluse la celebrazione, avvolse l’ostia nel corporale di lino e fuggì verso la sacrestia.   Durante il tragitto alcune gocce di sangue caddero sul marmo del pavimento e sui gradini dell’altare.   Pietro da Praga si recò subito dal papa Urbano IV, che si trovava a Orvieto, per riferirgli l’accaduto.   Il pontefice, allora, inviò a Bolsena il vescovo di Orvieto per verificare la veridicità del racconto e per recuperare le reliquie.   Urbano IV dichiarò la soprannaturalità dell’evento e, per ricordarlo, l’11 agosto 1264 estese a tutta la Chiesa la solennità chiamata "Corpus Domini", nata nel 1247 nella diocesi di Liegi per celebrare la reale presenza di Cristo nell’eucaristia, in contrapposizione alle tesi di Berengario di Tours, secondo le quali la presenza eucaristica di Cristo non era reale, ma solo simbolica.   Per custodire il corporale venne edificato, a partire dal 1290, il duomo di Orvieto, al quale si aggiunsero la cappella del corporale, nel 1364, e la cappella nuova, nel 1504.
    Urbano IV, inoltre, affidò a Tommaso d’Aquino il compito di preparare i testi per la liturgia delle ore e per la messa della festività, e stabilì che il "Corpus Domini" dovesse essere celebrato il primo giovedì dopo l’ottava di Pentecoste.
    Notizie tratte liberamente dal sito: https://it.wikipedia.org/wiki/Miracolo_eucaristico_di_Bolsena ]



  4. Un cenno su Santa Cristina di Bolsena:    ->>> Back

    [ Santa Cristina di Bolsena, Cristina da Tiro, per la Chiesa Ortodossa Cristina è considerata la Grande Martire (III secolo – IV secolo).   Invece, secondo la tradizione agiografica, fu una credente cristiana martirizzata durante la persecuzione dei cristiani sotto Diocleziano, agli inizi del IV secolo.   Le scoperte archeologiche a Bolsena indicano che la venerazione di santa Cristina, vergine e martire, risale almeno al IV secolo: presso quello che è indicato come sepolcro della santa, infatti, era sorto un cimitero sotterraneo.
    Notizie tratte liberamente dal sito: https://it.wikipedia.org/wiki/Cristina_di_Bolsena
    Cristina, figlia del prefetto Urbano, si convertì al Cristianesimo quando era ancora bambina e per questo motivo venne torturata senza pietà dal suo stesso padre.   Il miracolo sta nel fatto che la ragazza, qualsiasi atrocità subiva, ne usciva sempre indenne pregando Dio.   Dopo la morte di Urbano, i suoi successori Diane e Giuliano continuarono a infierire sulla piccola ma sempre senza risultati.   Famosa, perchè spesso rappresentata, è l’immagine della santa che cammina sulle acque del lago di Bolsena, nel quale vi fu il tentativo, fallito, di annegarla.   Purtroppo però, un triste 24 luglio, una freccia le trafisse il cuore.
    Ecco perchè viene rappresentata dormiente e con in braccio una freccia.
    Notizie tratte liberamente dal sito: https://www.visitbolsena.it/santa-cristina-bolsena.asp ]



  5. Un cenno sulle Pietre Lanciate di Bolsena:    ->>> Back

    [ A circa un chilometro da Bolsena, lungo la via Cassia SR.2 in località La Fornacella procedendo in direzione di Montefiascone, c’è un famoso geosito, conosciuto col nome di "Le Pietre Lanciate".   Questo sito geologico, facilmente visibile sostando in una piazzola adiacente alla provinciale, è formato da prismi di roccia di origine vulcanica affioranti obliquamente dal terreno.   Questi prismi si sono formati a seguito di alcune fasi dell’antica attività vulcanica che ha interessato una vasta area di circa 270 kmq, attorno alla zona di Bolsena, a partire da un milione di anni fa.   Poi, circa quattrocentomila anni fa, si verificarono nuove e violentissime esplosioni con proiezione esterna di moltissimo materiale e conseguente svuotamento del sottosuolo.   I prismi basaltici si sono formati da una colata di lava (leucitite tefritica) con fessurazione prismatica colonnare dovuta ad una contrazione a seguito di un rapido raffreddamento del magma.   Questi eventi provocarono lo sprofondamento di una vasta area, creando un avvallamento a caldera che verrà occupato dal Lago di Bolsena, il più grande lago vulcanico d’Europa.   Verso la fine dell’attività vulcanica, a seguito di esplosioni verificatesi all’interno del lago, emersero e si formarono le isole Martana e Bisentina.
    L’evoluzione del lago e della sua attività vulcanica residua è ancora in corso: infatti al suo interno alcune emanazioni di gas dimostrano una seppur minima vitalità del vulcano.
    Il sito delle Pietre Lanciate fa parte del più ampio Distretto Vulcanico Vulsino e, in questa zona, si estende per alcune centinaia di metri lungo il crinale, anche se oggi se ne vede una minima parte poiché è quasi sempre invaso da una fitta vegetazione.   La porzione di maggior pregio, lunga circa 10 metri, è mantenuta pulita e viene tutelata come Patrimonio Geologico poiché fa parte delle bellezze naturali che hanno permesso di proporre il Lago di Bolsena e i Monti Volsini come patrimonio dell’umanità dell’UNESCO.
    Le Pietre Lanciate rientrano nel Sito di Interesse Comunitario e nella Zona di Protezione Speciale "Monti Vulsini" (codice SIC-ZPS: IT6010008).
    Notizie tratte liberamente dal mio sito: http://www.eneafiorentini.it/ifranagg/ifranagCO_Avvic.html ]



  6. Un cenno sulla Basilica di S.Flaviano a Montefiascone:    ->>> Back

    [ Uno dei luoghi fondamentali per la conoscenza del pellegrino durante il suo viaggio è la Basilica di San Flaviano.   Già luogo di sosta di molti personaggi famosi in cammino verso i luoghi santi o di ritorno dagli stessi, tra cui lo stesso Sigerico che la cita sul suo diario di viaggio del 990, come luogo di sosta: "(submansio VII Sce. Flaviane)", durante il suo viaggio di ritorno a Canterbury da Roma, dopo la sua nomina a arcivescovo e Primate di Inghilterra da parte di Papa Giovanni XV.   La Basilica di San Flaviano rimase confinata ai margini dell’abitato, quando quest’ultimo si spostò progressivamente verso la sommità del colle, e quando la fortezza di cui faceva parte venne ridotta e abbandonata per costruirne una più potente attorno alla Rocca dei Papi.   All’inizio del XIV secolo (nel 1302), alla chiesa romanica venne aggiunto un prolungamento ed una nuova facciata in stile gotico, inoltre vennero rialzate le navate laterali e, successivamente, vennero costruite anche le cappelle che si aprono oggi sul lato sinistro della chiesa.
    Al suo interno si possono ammirare numerosi affreschi di scuola romana e toscana risalenti al XIV secolo, altri di scuola umbra del XV secolo e, al piano superiore, la Cattedra di Urbano IV.   Oltre alla qualità del manufatto e delle opere custodite al suo interno, due curiosità impreziosiscono questa Basilica.   Si tratta, innanzittutto, di piccole sculture umane ironiche che deridono gli sciocchi visitatori della chiesa.   Sulla colonna centrale di destra è sovrapposto un capitello cubico, ornato con elementi corinzi e decorazioni romaniche, nel quale è inserita una piccola figura umana, scolpita, che si nasconde il mento con la mano, e che invita chi si distrae ammirando la chiesa a guardare la sua barba con la seguente scritta, anch’essa scolpita nella parte alta del capitello:
    "[ MIRANTES AVLA(M) N(OST)RAM RESPICITE / BARBAM ]"
    cioè: "Voi che guardate la nostra chiesa osservate la barba".
    Sulla faccia adiacente dello stesso capitello, lo stesso personaggio, scoprendo il mento privo di peli, rivela la sua identità e il suo carattere beffardo:
    "[ AVL(A)E SV(M) CV(S)TO(S) P(ER -)SCVLTV(S) DELVDERE STVLTO(S) ]"
    cioè: "Sono il custode della chiesa scolpito per beffare gli stolti".
    Nel capitello coevo del pilastro di fronte, una figura umana, anch’essa scolpita e inserita tra gli elici di due cauli, si trova in rapporto dialogico con il "custode" di fronte, e simboleggia lo stolto e attonito spettatore.
    Notizie tratte liberamente dal mio sito: http://www.eneafiorentini.it/ifranagg/ifranagCO_Avvic.html ]



  7. Un cenno su G.Defuk sepolto nella Basilica di S.Flaviano a Montefiascone:    ->>> Back

    [ L’altra particolarità che ha reso famosa la Basilica di San Flaviano è la presenza della tomba di Johannes Defuk (o Giovanni Deuc) alto prelato tedesco della corte di Enrico V.   Nel 1111, Enrico V e la sua corte passarono per Montefiascone, diretti a Roma per la consacrazione papale del sovrano: secondo la leggenda, Johannes Defuk sarebbe proprio al suo seguito quando viene "conquistato" dalla bontà del vino locale.
    Defuk incaricò il fedele servo Martino di cercare per lui il vino migliore.   Martino partì per questa ricerca e, per far capire al suo padrone dove si trovava del buon vino, scriveva sulla porta della locanda la parola "Est!", che stava per c’è.   Defuk, passando per i paesi visitati dal servo, si fermava dove trovava la scritta e assaggiava il vino suggerito.   Martino, arrivato a Montefiascone, rimase talmente colpito da questo vino da scrivere la frase: " Est! Est!! Est!!! ".   Nel viaggio di ritorno da Roma, ove aveva assistito all’incoronazione da parte di Papa Pasquale II di Enrico V ad "Imperatore del Sacro Romano Impero", Defuk si fermò a Montefiascone, ricordandosi dell’indicazione di Martino.   Quando Defuk assaggiò quel vino, che è noto oggi come " Est! Est!! Est!!! " di Montefiascone, si fermò in questa cittadina e non poté più smettere di berlo finché lo portò alla morte.   Il fedele servo Martino ne curò la sepoltura, nel 1113, facendo incidere sulla lapide in peperino grigio della tomba, la scritta in latino:
    " Est est est pr nim est hic Jo De Fuk do meus mortuus est ", che sta per:
    " Est est est propter nimium est hic Johannes De Fuk dominus meus mortuus est ", cioè:
    " Per il troppo EST! qui giace morto il mio signore Johannes Defuk ", iscrizione che può essere letta ancora oggi.   Defuk lasciò un generoso lascito a Montefiascone, a condizione che negli anni a venire, in occasione dell’anniversario della sua morte, venisse versato del vino sul suo sepolcro.   La tradizione venne portata avanti per secoli e a questo personaggio così particolare è dedicata ogni anno una rievocazione storica che vede la partecipazione di figuranti in costumi d’epoca, nel "Corteo Storico Falisco".   Per promuovere il famoso vino di color giallo paglierino " Est! Est!! Est!!! ", formato da Trebbiano Toscano o Procanico (50-65%), Trebbiano Giallo o Rossetto (25-40%), Malvasia Bianca Lunga e/o Malvasia del Lazio (10-20%), viene organizzata a Montefiascone, ogni anno nel mese di agosto, la manifestazione "Fiera del Vino".
    Notizie tratte liberamente dal mio sito: http://www.eneafiorentini.it/ifranagg/ifranagCO_Avvic.html ]



  8. Viterbo e la sua storia:    ->>> Back

    [ Viterbo è il capoluogo dell’omonima provincia nel Lazio settentrionale, nota anche come Tuscia o Alto Lazio.   Ha antiche origini (si ritiene che Viterbo derivi dal latino Vetus Urbs, cioè Città Vecchia) e ha un vasto centro storico, con alcuni quartieri medioevali ben conservati, cinto da mura e circondato da quartieri moderni, tranne che ad ovest, dove si estendono zone archeologiche e termali (necropoli di Castel d’Asso, sorgente del Bullicame).   Viterbo è nota come la Città dei Papi: nel XIII secolo fu infatti sede pontificia e per circa 24 anni il Palazzo Papale ospitò o vi furono eletti vari Papi.   Papa Alessandro IV decise nel 1257 il trasferimento della Curia Papale nella città a causa del clima ostile presente a Roma.   Qui il soggiorno papale durò, salvo brevi interruzioni, fino a quando papa Martino IV, appena eletto (22 febbraio 1281), allontanò definitivamente la corte pontificia da Viterbo per recarsi, non a Roma, ma ad Orvieto.
    La città sorge a 326 metri sul livello del mare, all’interno di un ampio falsopiano, situato sulle prime pendici settentrionali del Monte Palanzana (che i viterbesi chiamano semplicemente La Palanzana), appartenente al gruppo dei Monti Cimini, rilievi di origine vulcanica che fanno parte, a loro volta, dell’Antiappennino laziale.
    Il falsopiano sul quale si trova il centro cittadino si distende ad ovest verso la pianura maremmana.   La città è attraversata per tutta la sua lunghezza, con decorso est-ovest, dal Fosso Urcionio, che oggi scorre quasi completamente nel sottosuolo, mentre scorreva in superficie fino ai primi decenni del Novecento.
    Si hanno tracce d’insediamenti neolitici ed eneolitici e varie tracce, specie nel sottosuolo, di presenze etrusche nella lontana storia di Viterbo, ma alcuni storici sono portati a credere che nel periodo etrusco l’insediamento non raggiungesse lo stato di vicus, mentre le fantasiose teorie quattrocentesche dell’erudito frate Annio (autore di quel complesso e monumentale falso storico noto come Antiquitatum Variarum) hanno addirittura supposto che vi fosse in loco una tetrapoli etrusca, sulla base dalla sigla FAVL che, secondo tali teorie sarebbe un acronimo formato dalle iniziali di quattro cittadine (Fanum, Arbanum, Vetulonia, Longula).
    Più plausibile appare l’identificazione di Viterbo con la città etrusca Surina, sostenuta da studiosi del XX secolo.   Dopo la conquista romana vi fu costituito, con ogni probabilità, un insediamento militare, chiamato Castrum Herculis per la presenza nella zona di un tempio che si riteneva dedicato all’eroe mitologico (il leone simbolo di Viterbo deriva da questo aneddoto).   Notizie più certe si hanno con la cittadina dell’Alto medioevo, che trae origine da un "castrum", cioè una fortificazione longobarda posta al confine tra i possedimenti longobardi nella Tuscia e il ducato bizantino di Roma: il colle di San Lorenzo, ricordato nella donazione di Sutri tra le proprietà che Liutprando promette alla Chiesa nel 729, fu fortificato nel 773 da Desiderio, nell’ultimo periodo della sua contesa con Carlo Magno.   Un documento papale dell’852 riconosce il Castrum Viterbii come parte delle terre di San Pietro, mentre Ottone I annovera il castello tra i possedimenti della Chiesa.   Nell’XI secolo l’incremento demografico contribuì alla nascita di nuclei abitativi fuori dal castrum, e, attorno al 1090, a un primo tratto di mura.   La scelta dei primi consoli sancì, nel 1099, il passaggio a istituzioni comunali.   Viterbo, divenuto libero comune nel XII secolo, si assicurò il possesso di numerosi castelli.   La protezione di Federico I Barbarossa, presente nella città nel 1162, che riconobbe la costituzione in comune di Viterbo, consentì una legittimità alla sua politica di espansione.
    Nel 1172 venne distrutta la città di Ferento il cui simbolo (una palma) fu aggiunto al leone, simbolo di Viterbo (l’emblema vigente è costituito appunto da un leone addossato ad una palma).   Sempre attorno al 1190, venne assediata Corneto (odierna Tarquinia), mentre l’imperatore Enrico VI (divenuto tale nel 1190 alla morte del padre Federico I Barbarossa, annegato nel fiume Saleph in Cilicia, nel Sud-Est dell’Anatolia, in prossimità della Terra Santa, durante la terza crociata) attaccò Roma con l’esercito viterbese. ]



  9. I Profferli di Viterbo:    ->>> Back

    [ Caratteristici della città di Viterbo sono i "profferli" (da "proferulum" = posto davanti, derivato da "profero" = porto davanti), cioè scale esterne in pietra, generalmente di una sola rampa che univano il piano terreno con quello rialzato di abitazioni di una certa importanza, normalmente appartenenti a casate nobili locali.   La struttura dei profferli è generalmente costituita da un’arcata addossata al muro della casa, sulla quale sono costruiti i gradini.
      La scalinata normalmente non aveva ringhiere verso il lato non addossato al muro e la sua disposizione era sempre orientata in maniera tale da prevedere la salita da destra verso sinistra.   Ciò era considerato un primo livello di difesa poichè, in caso di attacco di nemici armati in quell’epoca con spade e pugnali e quasi sempre destrorsi (e non mancini), essi, durante la salita di queste gradinate, avrebbero avuto difficoltà ad affrontare i difensori.   L’assalitore avrebbe trovato difficoltà ad usare la propria arma con la mano destra, poichè si sarebbe trovato il braccio destro praticamente addossato al muro mentre saliva la scalinata; il difensore invece avrebbe trovato maggiore libertà e facilità a manovrare la propria spada con la mano destra.   Lo stesso assalitore avrebbe anche rischiato di cadere dalla scala senza parapetto, essendo costretto a spostarsi dal muro per manovrare meglio con la mano destra.   Si tratta di un semplice stratagemma, ma studiato dopo anni e anni di esperienza, per proteggersi meglio da attacchi e agguati.
    I "profferli" rappresentano ancora oggi una parte della storia medievale di Viterbo e sono degli artistici e monumentali ornamenti delle case storiche di Viterbo, ancora efficienti seppur avendo perso il loro scopo difensivo. ]



  10. La Chiesa di S.Angelo in Spatha (sec. XI-XVIII) in Piazza Plebiscito a Viterbo: ->>> Back

    [ La Chiesa di Sant’Angelo in Spatha chiude uno dei lati di Piazza Plebiscito su cui, dal XIII secolo, si affacciano le principali sedi amministrative.   I rintocchi della campana di questa chiesa richiamavano al raduno i membri del consiglio comunale.
    La Chiesa ha origini molto antiche.   Probabilmente era la piccola pieve del Vico-Biterbo, cioè della borgata antecedente alla formazione della città.   La sua fondazione risale ad un periodo compreso fra il 1078 e il 1088, quando fu eretta in forme tipicamente romaniche.   L’impianto primitivo della chiesa corrispondeva alla tipologia basilicale a tre navate terminanti in altrettante absidi, in linea con lo schema architettonico diffuso nell’Italia centro-meridionale nell’arco dell’XI secolo.
    Nel 1092 l’importanza della chiesa crebbe, con l’elevazione a Collegiata (chiesa che disponeva di un collegio di chierici, con posizione di rilievo fra le chiese della città); nel 1145 fu riconsacrata dopo aver subito un primo sostanziale restauro promosso da papa Eugenio III (papa dal 1145 al 1153; Bernardo Pignatelli, n. a Pisa nel 1128, m. a Tivoli nel 1153), che dimorò a lungo nel capoluogo della Tuscia.   Nel XIII secolo la posizione eminente della Chiesa di Sant’Angelo era ormai riconosciuta, forse anche per la presenza della "platea sancti Angeli", cioè del grande cimitero antistante, poi distrutto per far posto agli edifici comunali.   Il prospetto originario rovinò nel 1549, quando crollò anche il campanile a torre posto sul lato destro della facciata.   I nuovi restauri cinquecenteschi furono condotti a termine nel 1560, mentre era sul soglio pontificio Pio IV (papa dal 1559 al 1565; Giovanni Angelo Medici, n. a Milano il 31-3-1499, m. a Roma il 9-12-1565).   Il suo stemma mediceo (anche se non era imparentato con i Medici di Firenze) compare infatti sulla facciata, accanto al leone, emblema della città di Viterbo, insieme a quello della famiglia Piccolomini, che contribuirono a finanziare la ricostruzione della chiesa.
    L’interno, che si presenta oggi a navata unica rettangolare, pur avendo ancora le tre absidi a delimitare la zona presbiteriale, fu radicalmente riformulato nella prima metà del XVIII secolo ad opera del Capitolo della Collegiata.   Nella Chiesa di Sant’Angelo in Spatha sono conservate alcune opere pregevoli.
    Nella prima cappella a destra, una tavola con la raffigurazione della Madonna col bambino, parte centrale del trittico trecentesco, riconducibile al pittore di scuola senese-orvietana Andrea di Giovanni.   Sul terzo altare a destra, un crocifisso anch’esso trecentesco.   Infine, posta sull’altare maggiore, la Madonna col bambino e santi, realizzata da Filippo Caparozzi.   Sul lato esterno destro della facciata insiste il sepolcro della cosiddetta Bella Galiana, una giovane viterbese la cui avvenenza fisica, secondo la leggenda, era pari alla sua rettitudine morale.   La sua storia leggendaria è raccontata nella mia Cronaca della camminata del 2005 con i giornalisti sponsorizzati dalla RAI Radio 3 (vedi la relativa nota, pubblicata di seguito alla presente).   Elemento portante del monumento è il sarcofago classicheggiante ornato da una scena ad altorilievo raffigurante la Caccia al Cinghiale, copia posta in sostituzione dell’originale romano del III secolo d.C. conservato presso il Museo civico della città.
    Due lapidi con iscrizioni in latino, poste al di sopra dell’arca, ricordano la sepoltura della giovane viterbese, avvenuta nel 1138. ]



  11. La leggenda della Bella Galiana:    ->>> Back

    [ Attraversando la Valle di FAUL e uscendo da Porta FAUL, l’escursionista non può fare a meno di volgere lo sguardo alle poderose mura di Viterbo e alle possenti torri che la proteggono sul suo lato ovest.   Una di queste torri, posta sulla destra della porta guardando la città dall’esterno, è conosciuta ancora oggi come la Torre della Bella Galiana.   Aloni di leggenda avvolgono le vicende di questa leggiadra fanciulla vissuta a Viterbo nei primi anni del XII secolo.   Era così bella ed attraente da essere definita la sesta meraviglia di Viterbo.   La leggenda, ripresa nel 1742 da Feliciano Bussi, narra che un barone romano si fosse invaghito della Bella Galiana a tal punto da cingere in assedio Viterbo pur di rapire la fanciulla.   Ma poiché l’assedio, protrattosi per un certo tempo, non produceva i risultati voluti, si arrivò ad un compromesso, cioè quello di far vedere la Bella Galiana al barone, mostrandola dall’alto delle mura, dopo aver abbattuto qualche merlo per farla osservare meglio.   Il finale della leggenda ha vari scenari più o meno oscuri: una prima versione racconta che i Romani, dopo aver visto la Bella Galiana, ritornarono contenti a Roma.
    Una seconda versione narra che il barone, vedendo siffatta bellezza e non potendo avere la fanciulla, l’uccise con un colpo di balestra.   Una terza versione fa sopravvivere all’assedio la Bella Galiana.
    Infatti Frisigello, un paggio ovviamente innamoratissimo di lei, le avrebbe fatto scudo col proprio corpo sacrificandosi, ma salvandole la vita.   Un’altra leggenda parla di una scrofa bianca che divorava una bella vergine ogni anno, offerta dalla popolazione del contado in sacrificio.   Quando toccò il turno di Galiana, bellissima vergine, un leone (proveniente dalla selva cimina) divorò la scrofa e le salvò la vita.
    Alcuni sostengono che il leone, anche per questo motivo, è divenuto il simbolo di Viterbo. ]



  12. Il Gran Caffè Schenardi di Viterbo:    ->>> Back

    [ Ai nn. civici 11 e 13 del Corso [Corso Italia - ndr] sono gli ingressi allo storico Gran Caffè Schenardi, portato alla notorietà da Vincenzo Schenardi.   Tra i personaggi che conobbero le specialità Schenardi furono Papa Gregorio XVI il 3, 4, 5 di Ottobre 1841; il generale Giuseppe Garibaldi l’8 Maggio 1876 (vedi anche la targa posta in Comune che ricorda questa visita a Viterbo); lo scultore Pio Fedi nel 1876; Guglielmo Marconi, Vittorio Emanuele di Savoia conte di Torino al quale fu offerto dal Comune un banchetto il 2 Settembre 1901, tenuto nel Palazzo dei Priori.   Ed ancora, il compositore Umberto Giordano (1867 - 1948); il duce Benito Mussolini il 27 Maggio 1938, che prese un cappuccino al terzo tavolo di destra.   In tempi più vicini a noi hanno fatto visita al Caffè: il regista attore Orson Welles, che a Viterbo ha girato il film "Otello" (1951); Christian Jacques; Carol Martine; il giornalista scrittore Orio Vergani; lo scrittore Bonaventura Tecchi, nato a Bagnoregio l’11 Febbraio 1896 e morto a Roma il 30 Marzo 1968, nominato cittadino onorario di Viterbo il 25 Giugno 1964; Gustavo VI Adolfo re di Svezia con le principesse Cristina e Margaretha; Alberto Sordi e Federico Fellini ai tempi del film "I vitelloni" (1953) girato a Viterbo e una miriade di importanti scienziati e accademici di ogni materia.   L’edificio, ove è il Gran Caffè, risale al XV secolo e fu di proprietà di tal Girolamo da Carbognano, segretario comunale dal 1489 al 1493.   Dal 1493 fu Banco e Fondaco dei Chigi che chiuse verso la prima metà del XVI secolo... [continua]
    Note di Mauro Galeotti, scritte perché sia salvata l’epica storia viterbese di un caffè che merita ogni attenzione.   Per una lettura completa di questa storia, consultare il sito web:
    "Storia del Gran Caffè Schenardi di Viterbo"
    Notizie tratte dal libro di Mauro Galeotti: "L’illustrissima Città di Viterbo", Viterbo, 2002 ]



  13. Chiesa di San Silvestro (o Chiesa del Gesù):    ->>> Back

    [ La Chiesa risale all’XI secolo e rivestì un ruolo primario nella vita cittadina fino a metà duecento.
    Vari ordini e corporazioni si alternarono nell’officiarla: l’Arte degli Ortolani, i Gesuiti, i Carmelitani Scalzi, i Penitenti e la Confraternita del nome di Gesù da cui derivò l’altro nome con il quale ancora oggi viene più spesso chiamata.   Dopo anni in abbandono, fu restaurata nel 1987 e affidata ai Cavalieri e alle Dame dell’Ordine Equestre del San Sepolcro.   La facciata della Chiesa termina singolarmente in un campanile a vela; il portale architravato è sormontato da una lunetta avente un affresco raffigurante una Madonna col Bambino.   Sopra la lunetta c’è il simbolo della confraternita del Nome di Gesù e quindi una monofora.
    Nel campanile sono inseriti fregi marmorei di epoca antecedente, così come i due leoni sugli spioventi.
    Sulla parte posteriore c’è un altro campaniletto a vela.   L’interno è ad una navata molto semplice con il soffitto a capriate, due monofore per ogni parete e un oculo sovrastante la piccola abside.   Sulle pareti e nell’abside vi sono affreschi votivi che vanno dal ’300 al ’500.   Al centro del presbiterio c’è un Crocifisso ligneo del ’600 proveniente dalla Chiesa di Santa Maria Nuova.   Al suo interno, il 13 marzo 1271, mentre poco distante si svolgeva il Grande Conclave, Guido di Montfort (con l’aiuto del fratello Simone) uccise Enrico di Cornovaglia (nipote del Re d’Inghilterra), per vendicare la morte di suo padre Simone V conte di Leicester ucciso, insieme a un fratello, nella battaglia di Evesham nel 1265, dalle truppe del re d’Inghilterra in quanto si erano a lui ribellati, facendo poi mutilare i loro cadaveri dopo averli trascinati nel fango.
    Questo di Viterbo del 1271 fu un atto di spietata vendetta familiare (Guido era anche cugino con Enrico), che venne citato da Dante nel XII canto dell’Inferno (v.115-120), in versetti che sono riportati nella targa rievocativa posta sulla facciata esterna della chiesa:

    "... Poco più oltre il centauro s’affisse
    sovra una gente che infino alla gola
    parea che di quel Bulicame uscisse.

    Mostrocci un’ombra dall’un canto sola,
    dicendo: colui fesse in grembo a Dio
    lo cor che in sul Tamigi ancor si cola... "

    Davanti alla Chiesa, sulla piazza, si erge l’elegante rinascimentale Fontana del Gesù proveniente dal demolito convento di San Domenico.   All’ingresso della piazza si erge l’imponente Torre del Borgognone (XII sec.). ]



  14. Il primo Ostello per pellegrini di Viterbo - Casa di Guidone e Diletta del ’200:    ->>> Back

    [ Davanti alla porta della Casa di Guidone e Diletta è ancora presente la lastra in marmo, contenente il testo inciso in caratteri latini, che rappresenta la donazione della loro casa al popolo di Viterbo perchè sia destinata ad ospitare i pellegrini in transito.   Si tratta di una specie di testamento scolpito nella pietra che è qui, fin dal 1150 (0 1200) a testimoniare la presenza di un primo e inedito Ostello di questa città.   Una targa, posta a fianco della lastra, riporta la relativa traduzione in italiano:

    « Io Guido, con Diletta, mia moglie, per la redenzione dell’anima nostra,
    dei nostri parenti e di tutti i fedeli, faccio dono di questa casa per "ospedale dei pellegrini"
    con ogni sua dipendenza, ai servi dei servi di Dio, per l’eternità, senza condizione alcuna.
    Nessun vescovo, o abate, o altra persona, abbia potere di disporre o asportare alcunché
    da questo luogo, senza il parere di tutti i chierici e laici, maggiori e minori di questa Città.
    Se alcuno vorrà fare altrimenti, cada sotto il castigo di Dio onnipotente, della Beata Maria
    sempre Vergine, dei santi angeli e degli apostoli e di tutti i santi, e sia condannato insieme
    con Giuda, Pilato, Anna, Caifa, Datia, Abiron, Erode e tutti coloro che al Signore Iddio
    dissero "Sta lontano da me": fiat, fiat.
    Ordiniamo inoltre ai possessori di questa casa di onorare secondo le proprie possibilità
    i giorni di festa consacrati alla santa Vergine Maria e a S. Giovanni Evangelista. » ]



  15. Il Palazzo dei Papi di Viterbo:    ->>> Back

    [ A fianco della cattedrale di San Lorenzo si trova il "Palazzo dei Papi".   Si tratta del principale monumento viterbese, praticamente il simbolo della città, teatro di avvenimenti fondamentali non solo per Viterbo, ma anche per la storia della Chiesa.   La sua costruzione voluta dal capitano del popolo Raniero Gatti (della fazione Guelfa), ebbe inizio nel 1255 e terminò nel 1267.   Appena terminato vi fu accolto il Papa Clemente IV (Guido Fulcodi [o Foulques], francese, nato a Saint-Gilles-sur-Rhone nel 1195 e morto a Viterbo il 29 novembre 1268) che favorì l’ascesa degli Angioini, in particolare di Carlo I° d’Angiò nella conquista del Regno di Sicilia e di Napoli e successivamente anche del Centro Italia e della Toscana.   Tutta questa iniziativa era volta a ostacolare le pretese dinastiche sul territorio italiano degli Hohenstaufen che con Manfredi prima (morto nella battaglia del 1266 a Benevento contro le truppe di Carlo d’Angiò) e poi con Corradino, duca di Svevia e re di Gerusalemme, reclamavano il loro diritto di tornare sul trono del Regno di Sicilia e di Napoli.   Clemente IV, nel 1267, per cercare di fermare l"avanzata delle truppe di Corradino, pronunciò la scomunica contro di lui e contro i suoi aderenti, deponendolo anche dal trono di Gerusalemme, proprio dalla Loggia dei Papi di Viterbo.   Il 23 agosto 1268, il povero Corradino fu sconfitto da Carlo d’Angiò in battaglia a Tagliacozzo; venne catturato, processato e decapitato.   Il trionfo di Clemente IV durò poco, infatti fece in tempo a vedere che il potere di Carlo d’Angò non si confinava solo nel Regno di Sicilia ma si stava allargando anche al centro e al nord dell’Italia minacciando anche gli Stati della Chiesa.
    Clemente IV morì nel novembre dello stesso 1268 e fu seppellito nel convento domenicano di Santa Maria in Gradi, fuori delle mura.   La morte di questo Papa diede l’inizio ad un periodo d’instabilità nella Chiesa, sia per reciproche rivalità tra i Cardinali per il desiderio di proprie elezioni al soglio pontificio e per atteggiamenti diversi nei confronti di Carlo I° d’Angiò che intendeva estendere il proprio potere al di fuori del Regno di Sicilia.   Queste discordie culminarono nel Conclave che si protrasse per trentatré mesi fino a far intervenire il popolo inferocito di Viterbo e i suoi rappresentanti per far accelerare, anche con sistemi drastici, la nuova elezione papale.   Parlando di questo edificio, notiamo a sinistra il corpo principale del Palazzo dei Papi che si affaccia dall’altro lato sulla valle di FAVL appoggiandosi su imponenti contrafforti.
    Esso è preceduto da un’ampia scalinata con due colonne alla sommità e dove, su un ballatoio sorretto da un arco, si apre l’ingresso della "Sala del Conclave" sormontato da uno stemma di San Bernardino.
    Nella sala insistono dodici finestre a bifora (sei per parte) e altrettante a feritoia sopra di esse; il pavimento è in lastroni di peperino originali.   A destra c’è la stupenda loggia gotica detta "Loggia dei Papi" e anche "Loggia delle Benedizioni" dalla quale si affacciava il Papa ai fedeli; loggia ultimata da Andrea di Berardo Gatti.   Al centro del ballatoio c’è una fontana composta da una vasca di base del ’400 con stemmi della famiglia dei Gatti, di Papi e vescovi e da una vasca superiore con teste di leone e pinnacolo, questi ultimi risalenti al ’200.   Tutta la loggia è sorretta da due grandi archi a sesto ribassato e da un enorme pilastro ottagonale che aveva la funzione di cisterna d’acqua.   Il Palazzo Papale è unito alla Cattedrale di San Lorenzo da una serie di costruzioni di varie epoche. ]



  16. Il Conclave del 1268-1271 e la sua Sala a Viterbo:    ->>> Back

    [ La morte di Papa Clemente IV nel novembre 1268 a Viterbo, diede inizio ad uno dei più lunghi periodi di sede vacante della storia della Chiesa.   Le lotte tra i Cardinali per ottenere una propria elezione o quella di un rappresentante della propria fazione, insieme con una indubbia insofferenza nei confronti di Carlo I° d’Angiò, allora Re di Sicilia, mirante ad estendere il proprio dominio su altri territori del centro e del nord d’Italia, fecero sì di prolungare le sedute dei Cardinali per la nuova elezione papale.
    I cardinali protrassero le loro discussioni per trentatré mesi (quasi 3 anni) senza alcun successo.   poiché la pubblica indignazione aumentava, le autorità civiche, guidate dai Gatti, per sollecitare una decisione, dapprima rinchiusero "cum clave" i Cardinali nella Sala del Palazzo papale, poi tolsero il tetto lasciando i religiosi al freddo e alla pioggia, e quindi minacciarono di sospendere i viveri.   Infine, avendo delegato la scelta a una commissione di 6 persone, il collegio cardinalizio elesse, il 1° settembre 1271, Teodaldo Visconti (nato a Piacenza nel 1210 e morto ad Arezzo il 10 gennaio 1276) che, come arcidiacono di Liegi, si trovava in quel momento in Palestina e partecipava alla crociata insieme al futuro Edoardo I d’Inghilterra.
    Egli, avendo saputo ad Accri (in Palestina, oggi Akko in Israele), di essere stato eletto papa, il 10 febbraio 1272 raggiunse Viterbo; poi si recò a Roma, nella quale i suoi due predecessori non avevano mai messo piede, e dopo essere stato ordinato presbitero, fu consacrato in San Pietro il 27 marzo, prendendo il nome di Gregorio X.   Egli stesso, e poi i successori, attraverso proclami e concilii, si proposero di impedire l"eccessivo protrarsi dei periodi di vacanza della Santa Sede, stabilendo che i Cardinali dovessero riunirsi non più tardi di 10 giorni dopo la morte del Papa nel luogo in cui essa era avvenuta e rimanendo insieme senza contatti con il mondo esterno.   Essi dovevano essere sottoposti a condizioni sempre più disagiate man mano che il procedimento elettorale si prolungava.   Era nato così l’embrione del moderno Conclave.
    Dopo di lui i Papi che ebbero la loro sede a Viterbo furono Adriano V (dal luglio 1276), Giovanni XXI (dal settembre 1276), Niccolò III (dal novembre 1277) e Martino IV (dal febbraio 1281).   Comunque Viterbo continuò per secoli ad ospitare temporaneamente Papi e alti ecclesiastici ed è tuttora chiamata "Città dei Papi". ]



  17. La Chiesa del Gonfalone a Viterbo:    ->>> Back

    [ La Chiesa di San Giovanni Battista del Gonfalone, è da considerare come l’esempio del barocco a Viterbo.   Fu costruita per volontà della Confraternita del Gonfalone che era una delle più considerevoli della città, sia per il possesso di beni, che per il numero di confratelli facoltosi.   Era detta in origine Confraternita di San Giovanni Battista e sin dal XII secolo aveva sede presso un oratorio in Contrada Valle, poi, il 16 Marzo 1561, si aggregò alla Confraternita del Gonfalone di Roma, fondata nel 1264 da san Bonaventura da Bagnoregio (1217 - 1274).   Ne assunse quindi il nome, l’insegna e la divisa.   La Confraternita del Gonfalone vestiva di sacco bianco con cappuccio e cordone dello stesso colore con una croce bianca e rossa in campo azzurro sulla spalla destra.   Il suo fine caritatevole era quello di raccogliere le elemosine per riscattare gli schiavi cristiani caduti in mano dei Turchi, di visitare i malati e di fare la dote a due fanciulle orfane, di buoni costumi.   Nel 1581 la Confraternita della Misericordia, con sede in Santa Maria della Carbonara, ridotta nel numero dei confratelli, si unì a quella del Gonfalone.   L’Oratorio nella Chiesa di san Giovanni Battista in Valle, vecchio e posto in luogo troppo periferico e scomodo per i fedeli, si era reso non più rispondente alle sviluppate esigenze della Confraternita che ivi risiedeva.   Così, il 2 Dicembre 1664, la stessa prese possesso di un orto con "casa e torracchio", tenuta a livello dal muratore Giacomo di Marco di Carrara e appartenente agli eredi di Caterina Nini di Nino, per costruire una nuova chiesa.   In realtà ciò fu possibile grazie ai benefattori Paluzo Paluzi e Decio Ancaiani, come riferisce Pietro Egidi, i quali avevano speso, per l’acquisto di quell’area, duecento scudi.   Comunque anche la Confraternita fece quello che poté e vendette un orto.   In merito al torracchio o turraccio, la torre con abitazione annessa si possono notare nella Pianta di Viterbo del Ligustri (1596).   Nei recenti restauri, afferma Maria Teresa Marsilia (1998) che:
    <Durante gli scavi è stato rinvenuto l’intero piano basamentale della torre medievale che preesisteva alla chiesa>.
    Il 9 Giugno 1665 i lavori di costruzione del tempio furono affidati ai mastri muratori Francesco Salvi, Giuliano Crescentini e Vincenzo Strigelli, omonimo del pittore.   Inoltre Francesco Maria Lomellino e Girolamo Tozzi erano i soprintendenti alla fabbrica.   Secondo Cesare Pinzi, il 21 Dicembre 1665, invece per Pietro Egidi l’anno è il 1664, il cardinale Francesco Maria Brancaccio pose la prima pietra della chiesa.   In effetti scrive Feliciano Bussi che fu gittata nelle fondamenta una cassettina di piombo con la scritta su pergamena:
    <D.O.M. Sedente Alexandro VII. Summo pontifice anno Domini MDCLXV die XXI Decembris, indictione III.
    Eminentiss. et reverendiss. D. Franciscus miseratione Divina Tit. S. Laurentii in Lucina S. R. E. Presbyter Cardinalis Brancatius episcopus Viterbiensis et Tuscanensis, sacris ab Ecclesia institutis ritibus, solemni supplicatione, ac pompa, privatisque omnium astantium studiis, benedixit lapidem hunc primarium, propriisque manibus in fundamenta demisit ac construendum novum templum in honorem Sanctissimi praecursoris Joannis Baptistae, in quo Societas Confalonis sub auspiciis Beatissimae Virginis Mariae Christianae pietatis officia exercet.   Praefectis, ac hujus operis impulsoribus D. Petro Majolino canonico, S. Alexandro Brugiotto [Brugiotti], D. Francisco Lomellino, D. Francisco Poggio, D. Hieronymo Tozzio sodalibus ejusdem Societatis>.
    La chiesa fu progettata dall’architetto ligure Giovanni Maria Baratta, allievo del Borromini e dovrebbe essere stata frequentata dalla Confraternita, almeno dopo il 1670.
    [...]
    Mauro Galeotti
    Dal volume "L’illustrissima Città di Viterbo", Viterbo, 2002
    {gallery}viterbo-chiesa-san-giovanni-battista-gonfalone{/gallery}
    Notizie tratte liberamente dal sito: http://www.lacitta.eu/storia/11363-la-piu-bella-chiesa-barocca-di-viterbo-san-giovanni-battista-del-gonfalone-la-conosci.html ]



  18. La Chiesa di Santa Maria Nuova di Viterbo:    ->>> Back

    [ La chiesa di Santa Maria Nuova è una chiesa romanica di Viterbo situata nel centro storico, non distante dal quartiere medioevale di San Pellegrino e da Piazza San Lorenzo.   È sede della parrocchia più antica della città, risalente al 1217.
    L’attuale chiesa, costruita prima del 1080, stando alla pergamena dell’atto di donazione (conservata nell’Archivio Comunale degli Ardenti) da parte del prete Biterbo al vescovo Giselberto di Toscanella (oggi Tuscania), dovette sorgere sul luogo di un preesistente edificio sacro, forse del VI secolo, intitolato alla Vergine, se non di un tempio pagano dedicato a Giove.   La chiesa "nuova" era affiancata da un ricovero per pellegrini di cui sopravvivono in parte due arcate a destra della facciata.   La facciata è di semplici linee, aperta da tre monofore e un portale sormontato da una lunetta, con tracce quasi invisibili di pitture e una testa marmorea ritenuta di Giove.   All’angolo sinistro, sorretto da una sottile colonna, c’è un pulpito esagonale dedicato a San Tommaso d’Aquino, che nel 1266 predicò spesso in questa chiesa su richiesta del Papa Clemente IV, esortando, tra l’altro, i viterbesi alla pace con gli orvietani.   La chiesa è un prestigioso esempio di romanico viterbese in forme basilicali con influssi lombardi, diviso in tre navate da due file di sei colonne e due semicolonne monolitiche sormontate da capitelli del tutto differenti l’uno dall’altro, simili a quelli del duomo locale e per i quali sembra siano serviti da modello, vero capolavoro dei tanto validi quanto ignoti scalpellini viterbesi.   Il soffitto è a capriate ed è decorato da pianelle e travi dipinte a tempera con motivi floreali tra il 1460 e il 1490.
    Sulla parete di sinistra c’è una vera e propria galleria di pittura viterbese dal XIV al XVI secolo, con una tavola di autore incerto del XVI secolo (forse il locale Giovan Francesco d’Avanzarano, detto il Fantastico), che raffigura la Madonna col Bambino tra San Bartolomeo e San Lorenzo.   A seguire sono due grandi nicchie affrescate: nella prima è una crocifissione tra la Madonna, San Giovanni, Sant’Ambrogio, un altro santo e angeli di Francesco d’Antonio Zacchi, detto il Balletta (XV secolo); nel sottarco sono medaglioni con raffigurati i santi Lorenzo, Paolo, Giovanni Battista, Michele Arcangelo, Pietro, Stefano e il Redentore benedicente.   Nella seconda nicchia c’è un’altra crocifissione con la Madonna, San Giovanni, Santa Barbara e San Nicola, datata al 1293, di scuola toscana; nell’archivolto sono San Lorenzo e lo stemma dei Monaldeschi, il cui sepolcro era ivi situato.
    Sull’altare dell’abside sinistra c’è un trittico di scuola romana del XIII secolo, dipinto su cuoio, recante al centro l’immagine del Cristo benedicente tra la Vergine e San Giovanni; sul retro c’è invece San Michele Arcangelo tra i Santi Pietro e Paolo.   L’opera fu ritrovata nel 1283 in una cassa di pietra da alcuni contadini durante l’aratura di un campo presso le terme e fu portata solennemente in Santa Maria Nuova, la chiesa dell’Ars Bubulcorum, la corporazione dei Bifolchi, ricordando annualmente l’evento con una suggestiva processione, tradizione tuttora rispettata.   Probabilmente il quadro era stato nascosto circa quarant’anni prima per sottrarlo ai saccheggi delle milizie di Federico II, al tempo impegnato in un infausto assedio alla città; tali soldati erano soliti servirsi anche dei quadri di legno per ricavarne scudi.   Al termine della fiancata sinistra della chiesa sono visibili le tre absidi, di cui la centrale è decorata da arcatelle con motivi zoomorfi e antropomorfi, di chiara influenza lombarda.   Quindi, attraverso una scala (l’inferriata è ottocentesca e lungo la scala sono esposte lastre funerarie tolte dalla chiesa durante i restauri d’inizio XX secolo), si raggiunge l’ingresso al piccolo chiostro, definito longobardo in quanto ritenuto parte di un edificio paleocristiano preesistente alla chiesa attuale, tesi che può essere giustificata dal fatto che alcuni elementi strutturali del chiostro richiamano fortemente le forme di altri due monumenti di epoca longobarda della città: il campanile di Santa Maria della Cella e il più antico dei due campanili della chiesa di San Sisto.   Del chiostro rettangolare, scoperto soltanto nel 1954 e riportato alla luce grazie a un lungo restauro protrattosi fino agli anni ottanta del XX secolo, sono rimasti solo due degli originari quattro lati.   Quello più lungo è composto da tre gruppi di cinque piccole arcate intervallati da pilastrini.   Gli archetti, in laterizi, sono sorretti da esili colonne con evidente entasi (tipica dell’architettura longobarda), terminanti in capitelli a forma di stampella.
    Il lato minore, opposto all’ingresso, presenta invece tre ampi e massicci archi romanici sostenuti da pilastri.
    Nel corso dei secoli l’area fu usata addirittura come fossa comune, come risultò dai numerosi scheletri rinvenuti durante i restauri: questo e altri usi impropri fecero andare in malora anche la sagrestia e la vecchia casa canonica. ]



  19. La Cripta della Chiesa di Santa Maria Nuova di Viterbo:    ->>> Back

    [ In questo antico luogo di culto che è la Chiesa di Santa Maria Nuova, oltre alla caratteristica struttura stupirà l’attento visitatore con una bella sorpresa: una cripta tra le più antiche della città.   Si tratta di uno spazio angusto, con una particolare struttura semicircolare, che farà immaginare scene di altri tempi.
    Questo luogo, per anni dimenticato dai cittadini, è tornato alla luce grazie agli interventi di recupero e restauro avvenuti nella chiesa a partire dal 1960.   Attraverso questi lavori sono stati rinvenuti sia il chiostro che l’antica cripta.   Posizionata sotto l’altare maggiore, vi si accede sia da una scalinata interna che dall’esterno.   Con la sua forma semicircolare, la cripta è sostenuta da due tozzi pilastri.   Dal momento della scoperta ha suscitato la curiosità degli studiosi perchè risulta abbastanza diversa dalle altre presenti nella Tuscia.   La maggior parte delle cripte, infatti, presentano la forma a sala.   La cripta della chiesa di Santa Maria Nuova costituisce, invece, uno straordinario esempio di passaggio tra lo stile dell’alto medioevo e quello tipico dell’età romanica più avanzata.   All’interno della misteriosa cripta, che viene spesso descritta dai turisti come una piccola grotta, è possibile ammirare il fonte battesimale realizzato in peperino e travertino.
    Notizie tratte dal sito: https://visit.viterbo.it/la-cripta-della-chiesa-di-santa-maria-nuova/ ]

 
 


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